Anno 2015, novembre inoltrato. Venerdì sera, spettacolo delle 20, cinema Eden di Roma. Sala piena gremita a tal punto che il mio posto è in prima fila. Non è un Blockbuster, è un film europeo. Si abbassano le luci e comincia il viaggio.

Dio esiste e vive a Bruxelles

Dio esiste e vive a Bruxelles

Due ore abbondanti dopo arrivano i titoli di coda. E succede qualcosa che non accadeva più almeno dai tempi dell’età pre internet. Il pubblico è soddisfatto, allegro e non fa nulla per nasconderlo. Ci sono gli applausi, i sorrisi, i commenti, i volti sono rilassati, i lineamenti distesi, si percepisce una strana euforia condivisa: è come se il film una volta finito, continuasse ancora. La finzione che diventa realtà, il cinema come rito collettivo maieutico e propiziatore. L’atmosfera è veramente incredibile, quasi magica, ci sentiamo tutti di appartenere a qualcosa che abbiamo vissuto e che non è il nostro orgoglio, che è alidlà del nostro quotidiano. È il potere catartico del cinema, l’ultimo colpo di coda della sua forza prima di morire ucciso dalla tv, dalla rete e dagli scaricatori folli.

Il film che aldilà di qualunque possibile critica ha rischiarato i cuori di un gruppo sparuto di persone in un ozioso fine settimana s’intitola “Dio esiste e vive a Bruxelles”, è diretto da Jaco Van Dormael e racconta di un Dio cattivo e sadico a tal punto che la sua sconfitta si trasforma nella  vittoria dell’umanità.