“Il giovane Marx” finisce con la genesi del Manifesto del partito comunista. Marx, Engels e le mogli sono riuniti intorno a un tavolo pieno di fogli vergati a penna. Poi si comincia a leggere: «Uno spettro si aggira per l’Europa…». E su queste parole, che cambieranno (nel bene e nel male) il mondo, termina il film. Così sembra. Poi dal nero parte “Like a rolling stone” di Bob Dylan che accompagna un montaggio di immagini reali della fine del secolo scorso: Mandela, muro di Berlino, proteste di lavoratori, Reagan e Margaret Thatcher. Una botta di retorica, forse suggestiva, indubbiamente “facile” e con un errore concettuale che se non stessimo parlando di un film su un filosofo, non avremmo sottolineato.

“Like a rolling stone” é la canzone con cui Bob Dylan smette di essere il profeta (posto che lo sia mai stato) della rivolta e prende un’altra strada, personalissima, senza concessioni e senza appartenenza. Una strada individuale, risentimento verso il mondo esterno, verso l’amore di una ragazza, verso se stesso.

Una canzone che con il marxismo ferocemente antiborghese non c’entra proprio niente. Anzi, filosoficamente esprime un concetto opposto: la ribellione può solo essere individuale e mai di massa.

Insomma un finale borghese per un film sulla nascita del comunismo. Una dialettica troppo spinta anche per il giovane Marx…