Le olimpiadi di Rio sono indubbiamente lo spettacolo più appassionante dell’estate. Come nelle grandi tragedie shakespeariane ci puoi trovare tutto: il sentimento, l’epica, il trionfo, il denaro, la sconfitta, la poesia, il dramma, il riscatto, la bellezza, l’ingiustizia. Ed è di quest’ultimo aspetto che voglio parlare, perché un efferato delitto sportivo si è consumato nella finale dei pesi massimi tra il russo Evgeny Tishchenko e il kazako Vassiliy Levit. È stato un incontro in verità piuttosto noioso tanto era la differenza di valori. Levit ha dominato le riprese, addirittura nella terza ha investito il russo con una gragnola di colpi ganci e diretti che l’arbitro, l’argentino Poggi, ha dovuto interrompere il match.

Ultimi venti secondi, suona il gong, proclamazione del verdetto: decisione unanime ,vince ai punti… Tishchenko.

Non stiamo parlando di Roma, Lazio, di ridicole polemiche intorno a centimetri, stiamo parlando del male in senso assoluto che ormai attecchisce nella vita quotidiana e ruba sogni, possibilità e vita.

Si scopre poi che i cartellini dei giudici riportavano tutti lo stesso incredibile punteggio:129 -128 per il russo e che l’arbitro aveva fermato il match formalmente per permettere di curare una ferita riportata da Tishchenko, solo che la ferita non c’era e la sosta doveva solo servire a interrompere l’azione del kazako che avrebbe portato all’inevitabile ko.

La riflessione ultima,oltre all’abuso e alla evidente frode sportiva, è l’impunità di chi trucca le gare che è talmente sicuro e protetto da poter organizzare un furto alla luce del sole, in diretta mondiale senza che nessuno, tanto meno la federazione, muova un dito.

Impunità, mafia, trionfo del male.

C’è del marcio a Rio de Janeiro.