Nella sua “The White Room” Caterina Gramaglia è assolutamente a suo agio. Si muove libera padroneggiando un’arte, quella dell’attore, che le è propria. Su questo non c’è alcun dubbio: voce forte e potente, mimica facciale impressionante, dizione perfetta. Si adagia su queste doti per costruire da sola uno spettacolo che oscilla, come lei stessa afferma: «Tra il demenziale e la poesia». E per certi versi è vero.

Nella White Room, che gradualmente si apre per lasciarvi entrare, almeno Locandina The white Roomsimbolicamente, lo spettatore, la Gramaglia è prima una cantante lirica, poi una giapponese, poi un personaggio fiabesco con dei led in testa, poi un’attrice vecchio stile, infine Gelsomina. Questo sulla scena. A intervallare le interpretazioni, una serie di video dove l’attrice scherza con la telecamera, si prende in giro, o la usa a corredo della storia raccontata dal vivo, sul palco.

Nelle intenzioni, dunque, una sorta di evoluzione narrativa che, si potrebbe dire, dal Giappone e il suo teatro porta fino a “La Strada” di Fellini. Questa supposta evoluzione, però, sulla scena non avviene e resta relegata nelle intenzioni, restituendo l’impressione di assistere a qualcosa di ancora molto acerbo. Di certo bella l’intuizione di dare sfogo ai personaggi che albergano nella mente dell’autrice-attrice-regista. E bella anche l’idea di una scatola bianca che si apre e lascia fluire i personaggi. Ma forse andava fatta maturare ancora un po’, fatta crescere e germogliare per rendere più chiaro l’impermanente, ovvero cioè che è in continua mutazione e che poi è il soggetto ispiratore dello spettacolo.

 

TitoloThe White Room
AutoreCaterina Gramaglia
RegiaCaterina Gramaglia
SceneGaia Giugni
CostumiGloriana Manfra
LuciMarzo Zara
InterpretiCaterina Gramaglia
ProduzioneSycamoreTcompany
Anno2014
Generemonologo
In scenafino all'11 Maggio 2014 al Teatro Tordinona di Roma