Sul tetto del mondo

La felicità è una cosa semplice. È un vecchio casale arredato con mobili che non sono stati acquistati (a parte una libreria Billy); è un pentolone in cui si prepara la polenta; è coltivare la terra; è parlare con gli animali; è allevare cani. È salire sul tetto del mondo e guardare lontano. Per raccontare e condividere lo sguardo da quella cima Paola Berselli e Stefano Pasquini hanno scritto e interpretato “Sul tetto del mondo” (andato in scena al Teatro India di Roma), arrivando dritti al centro delle emozioni e creandosi piano piano un piccolo posto, nel quale venir conservati.

Paola Berselli e Stefano Pasquini in una scena dello spettacolo.

“Sul tetto del mondo” è l’essenza del teatro: è un’esperienza condivisa, partecipazione emotiva, un racconto – “normalissimo” – di 25 anni di vita insieme. Il “Teatro delle Ariette” di Paola e Stefano (chiamato così perché ha come sede l’azienda agricola Le Ariette a Castello di Serravalle, in provincia di Bologna, dove i due vivono e creano il loro teatro) questa volta parla di se stesso, racconta la propria storia con un’eleganza e una delicatezza fuori dal comune, strappando un sorriso con le battute di un clown, qualche lacrima per le rinnovate promesse d’amore che i due si scambiano sul palco o per il ricordo di chi non c’è più.

Paola Berselli e Stefano Pasquini in una scena dello spettacolo.

La felicità è davvero una cosa semplice, nascosta – ma non troppo – nelle pieghe della vita. I due sembrano dirci questo raccontando i loro ultimi 25 anni. Una narrazione densa di ritmo in cui a silenzi carichi di parole, si alternano parole traboccanti di sentimento. Si definiscono due spaventapasseri che dominano la scena ai lati: durano il tempo di un raccolto e poi tornano ad essere paglia, legno e vestiti vecchi. Ma nel frattempo, stagione dopo stagione, ecco la vita: quella contenuta nella ritualità della preparazione di un pasto (come la polenta cucinata in tempo reale sul palco dagli attori assieme al contributo di Maurizio Ferraresi e Stefano Massari e che viene condivisa con gli spettatori a fine spettacolo), o quella che si affaccia da un maxi schermo-finestra e che proietta, con la nostalgia dei vecchi filmati di famiglia, la bellezza della corsa degli amati cani, del calore dei campi e di quel lungo, luminoso sentiero che conduce fin “sul tetto del mondo”. La condivisione è totale ed è qui che il teatro si eleva e si fa poesia. E resta.