Un’epopea metropolitana fatta di linguaggi variegati, marcatamente underground ma al contempo ricercata nei contenuti storici. Ritratto di una capitale è un “pollittico teatrale” a più voci che fra invettive di rabbia e dichiarazioni d’amore, ritrae la città e la restituisce al teatro. La fotografia dal vivo di questa nostra capitale di scena al Teatro Argentina è una grande scommessa da parte di Antonio Calbi e Fabrizio Arcuri, che in un progetto concepito in due serate replicate si conclude sabato 22 novembre con una lunga maratona di dodici ore.

Così, mescolando drammaturghi e narratori della città, Roma è messa in diversa luce attraverso lo sguardo di 26 autori che, partendo da un luogo e un’ora precisi, danno vita sul palcoscenico a ciascuno dei 24 tasselli che compongono il ritratto cangiante dei momenti, fasi, episodi (anche di cronaca) e piccole storie quotidiane. Ad aprire alternativamente le due serate (sabato è la volta di Claudio Strinati), gli interventi toccanti, colti ed ironici di Corrado Augias e Franca Valeri, entrambi con una riflessione sulla contraddittorietà di questa Mamma Roma: il primo ne ripercorre avvenimenti e luoghi topici per dedurre che «non sarà mai la città dell’ordine, delle simmetrie, delle strade pulite, del composto svolgersi dei giorni e dei fatti secondo un disegno, l’esito coerente di un progetto», che «non sarà mai una vera capitale perché questa città, in tutti i sensi eterna, è allo stesso tempo molto più e molto meno di una capitale». Franca Valeri in una lettera diretta proprio a lei, “l’insaziabile imperatrice”, inneggia con amore a restituirle lo splendore che si merita perché «Roma Capitale è una vostra ambizione, lei è stata capitale del mondo. È troppo poco per lei».

Il palcoscenico si presenta spoglio, privo di scenografia, denudato e spartano come lo conosce chi lo vive da dietro le quinte: un meraviglioso cantiere aperto per agili cambi di allestimento tra una rappresentazione e l’altra. Poche sedute (divani, panchine, sgabelli), un fondale che si apre per dar vita sullo sfondo ad un’altra scena che avvalori ciò che avviene alla ribalta, cubi rotanti (utilizzati anche in altezza) che all’occorrenza ospitano piccoli ambienti ed il supporto dei video proiettati su ampi pannelli-tessuto, rendono l’atmosfera di ciascun corto perfettamente credibile allo spettatore. Sulla sinistra la band dei Mokadelic fa da colonna sonora e riproduce musica dal vivo anche negli intermezzi.

La prima tranche di corti teatrali si apre con Giancarlo De Cataldo e il suo “Bello come un dio”, ambientato in una periferia romana, che racconta la storia dell’amore impossibile fra un poliziotto infiltrato e una trans: un paesaggio fatto di violenza e nostalgia, in cui ognuno è da solo, alla ricerca dell’altro e di se tesso.

A seguire “Orfanelli” di Eraldo Affinati si sposta in via Merulana, dove l’incontro fortuito tra un anziano romano e un giovane africano si trasforma in una storia di integrazione fresca e genuina nella sua semplicità.

Eleonora Danco non fa perdere una parola del monologo “Squartierati”, che racconta la San Lorenzo di ieri e quella di oggi: un testo sulla memoria, sulla condizione del cambiamento, sul tradimento dei luoghi rispetto ai ricordi.

“Mas non chiude mai, confessioni di una spia” di Pavolini ritrae ironicamente una Piazza Vittorio multietnica e multisfaccettata, dove un’insospettabile spia pare saperla più lunga degli abitanti e i misteri esquilini sembrano avere le ore contate.

Anna Bonaiuto e Robeto De Francesco sono i protagonisti di “Odioroma” di Mariolina Venezia, spaccato di vita di una donna che, nonostante un’esistenza apparentemente soddisfacente, si trova per la prima volta a colloquio con uno psicanalista a raccontare il disagio di una città che utimamente la turba, a rivelare un dissidio interiore che le sue stesse rovine riflettono metaforicamente.

“Tu come stai” di Christian Raimo è lo scorcio sulle ultime ore di vita di un malato terminale a colloquio con il figlio, ritratto di una metropoli dove il gelo e l’incomunicabilità non risparmiano nemmeno i rapporti famigliari più intimamente tragici.

Sandro Lombardi e Roberto Latini, “Angeli cacacazzi”, fanno sorridere in un omaggio a Victor Cavallo (poeta attore voce di una Roma sgangherata e geniale) e Leroy Johnson (il ballerino di ‘Saranno Famosi’, che venne qui a finire di perdersi ubriaco e tossico per le strade del centro) in cui impersonano i due artisti come fossero i loro spiriti erranti per la capitale.

Ascanio Celestini con “Kiss me” affronta in due monologhi lo scandalo delle baby-prostitue del quartiere Parioli, prima dal punto di vista di una di loro (interpretata da Federica Zacchia), poi da quella di un uomo (Danilo Nigrelli) che pensa di fare del bene e rendere migliore la vita di amici, colleghi, clienti e di ragazze minorenni in cerca dell’autonomia economica o di elevare il proprio tenore di vita.

“Elegia per due sconosciuti” (con la partecipazione di Leo Gullotta) narra un evento di cronaca dell’agosto del 1991 quando i gemelli Ecastor ed Edepol Moor, attori e ballerini nati a Los Angeles e trapiantati a Roma, morirono nelle acque del Tevere.

Ben fatto e toccante senza essere stucchevole il corto di Roberto Scarpetti, “Roma est”, con le prove d’attore di Lucia Mascino e Josafat Vagni assieme a Fabrizio Parenti, interpreti di un episodio di dis-integrazione: lo scontro per futili motivi tra una donna romena e un giovane romano che finisce in tragedia. Conclude la prima serata “Crossroads” di Letizia Russo, stralcio dei primi minuti di uno spettacolo completo ambientato nel Quarticciolo, dove la mattina che segue la storica sconfitta della Roma contro il Bayern Monaco per 7 a 1 prende il via una storia che, nella versione integrale, incrocia la vita di ben dodici personaggi.

La giornata/parte di Ritratto di una capitale inizia tutta al femminile con Maddalena Crippa e Silvia D’Amico interpreti di “Ritrovarsi in città”: scherzi del tempo in via Della Scala (a Trastevere), dove la protagonista ritorna per lavoro dopo dieci anni e, ironia della sorte, si trova ad alloggiare nella vecchia casa (diventata ora un bed and breakfast), ritrovando se stessa in un confronto tra passato e presente.

“Il film sbagliato” di Tommaso Pincio con Vinicio Marchioni si svolge invece a Ponte Sisto e riporta un episodio di violenza urbana: una riflessione su cosa significhi abitare in una città che pare il set di un kolossal, in cui il mancato rispetto delle  tacite regole può avere conseguenze paradossali ed estreme.

Milena Vukotic e Lorenzo Lavia si dividono la scena di Valerio Magrelli “L’arcispedale quando si fa l’alba”: un trentenne tossico e una garbata signora si scontrano verbalmente nell’astanteria dell’Ospedale di Santo Spirito, in un contrasto insindacabile e spaventoso tra sani e malati, che rivela come salute e degenza formino in realtà una specie di doppia nazionalità che accomuna tutti.

Fausto Paravidino strappa parecchie risate con il suo “Flaminia bloccata” (nell’auto e a causa di un incidente) che trova la romanità a confronto nell’interpretazione di Lucia Mascino (Flaminia, appunto) assieme a Filippo Nigro e Pieraldo Girotto.

“Altrove” di Paola Ponti tratteggia la dimensione esistenziale di emarginazione e delinquenza di un ragazzo di borgata che sembra non essere più in grado di modificare la sua vita, finché non incontra una ragazza della banlieue parigina la quale, diversamente da lui, è ancora capace di sognare.

Il monologo dal sapore storiografico di Anna Foa “Il getto. Monologo con fantasmi”, Giovanna Bozzolo ripercorre le strade del quartiere del centro, dove vita e morte si intrecciano facendo di quello spazio un terreno emblematico a impedire che esso possa mai convertirsi in uno spazio neutro e vuoto di storia.

“Epifania in borgo”, di e con Giuseppe Manfridi, ha sullo sfondo Borgo Pio in una domenica pomeriggio di gennaio degli anni Novanta: pochi metri quadrati in subaffitto dopo una disastrosa rottura coniugale, dove il protagonista inizia a trascorrere i giorni della perdita e della cura, fino alla “vera” epifania.

Gamey Guilavogui interpreta il monologo scritto da Igiaba Scego “Schiuma”, che narra l’amicizia tra una giovane donna bangladese e una quarantenne somala che abitano nello stesso condominio romano al Pigneto e diventano inaspettatamente amiche e confessori l’una per altra di una vita ai margini.

Arriva in corsa Andrea Rivera a suscitare l’ilarità della platea e a rinfrancarla nell’ultima parte della rappresentazione, esordendo prima con uno scritto più serio dedicato a Pasolini, per poi divertire il pubblico con un riuscito ed esilarante racconto inventato utilizzando i nomi dei vari quartieri romani ed una chiusa cantata.

Ricci/Forte mette in scena “Raw, Reluctant and Rome” spostandosi a Torre Angela: due lucciole dismesse tornano da una processione ai castelli dove hanno interpretato le sante per intascare qualche euro in più in tempo di crisi economica.

Come penultimo corto, “Alla città morta. Prima epistola ai romani” della compagnia Timpanaro/Frosini vede come protagonisti un uomo e una donna (forse vivi, forse morti) che parlano da sotto le macerie di Roma dopo aver letto sul giornale che l’Italia riparte e discutono così sui vari posti nei quali fare il discorso, la conferenza stampa, per poi lanciare infine il loro lapidario discorso alla città morta e un’invettiva sul suo stato.

Conclude la maratona Emanuele trevi con “Opinioni di una zanzara”, interpretato da Eleonora Danco, che si lamenta che la vita (e il sangue) anche per lei non sono più quelli di una volta: monologo di una simpatica zanzara che non vuole arrendersi al tempo che passa e che prova a difendere la sua condizione e la sua professione.

Un tour de force coraggioso nel suo essere così audacemente sperimentale e che, a prescindere dal risultato complessivo, ha indubbiamente contribuito a creare una maggior coesione tra città, teatro ed artisti attraverso un’operazione corale, sinonimo di speranza e volontà di cambiamento. Da vedere, almeno in parte.

 

TitoloRitratto di una capitale. Ventiquattro scene di una giornata a Roma
Autoreprogetto di Antonio Calbi e Fabrizio Arcuri
RegiaFabrizio Arcuri
MusicheColonna sonora composta ed eseguita dal vivo da Mokadelic
Sceneset virtuale di Luca Brinchi, Roberta Zanardo/Santasangre e Daniele Spanò
InterpretiDaniele Amendola, Claudio Angelini, Matteo Angius, Antonella Attili, Anna Bonaiuto, Giovanna Bozzolo, Giorgio Caputo, Tiziano Caputo, Francesca Ciocchetti, Maddalena Crippa, Silvia D'Amico, Eleonora Danco, Roberto De Francesco, Anna Ferraioli, Elvira Frosini, Pieraldo Girotto, Anna Gualdo, Gamey Guilavogui, Liliana Laera, Roberto Latini, Lorenzo Lavia, Sandro Lombardi, Simon Makonnen, Giuseppe Manfridi, Vinicio Marchioni, Lucia Mascino, Francesco Montanari, Danilo Nigrelli, Filippo Nigro, Fabrizio Parenti, Constance Ponti, Alessandro Riceci, Andrea Rivera, Giovanni Scifoni, Daniele Timpano, Elodie Treccani, Josafat Vagni, Federica Zacchia, Paolo Zuccari e con la partecipazione straordinaria di Leo Gullotta e Milena Vukotic. Con gli allievi del terzo anno dell'Accademia d'Arte Drammatica Cassiopea Chiara De Concilio, Luana Locorotondo, Agnese Lorenzini, Laura Nardinocchi, Bruno Petrosino, Nicole Petruzza, Francesco, Sannicandro, Federica Spinello, Pina Vergara e gli ex allievi del Centro Internazionale La Cometa Marianna Arbia, Marco De Bella, Lorenzo La Posta, Stefano Lionetto, Benedetta Rustici, Alessio Stabile. Break dancers Davide Nicoletti, Daniele Vergos, Andrea Conversano, Alessio Signore
Durata360'
ProduzioneTeatro di Roma in collaborazione con S.I.A.E.
Anno2014
In scenadal 18 al 22 novembre 2014 Teatro Argentina