I primi bagliori di una Napoli mattutina, il ripetuto suono del citofono, il russare soffuso di Maria (Chiara Baffi) la domestica di casa Cimmaruta e lo strepitio di tazze e scodelle di donna Rosa (Betti Pedrazzi). In questo punto esatto ci sono le voci di dentro di Alberto Saporito (Toni Servillo), i suoi tormenti, i suoi silenzi. E tra le inflessioni della parola napoletana e le smorfie che la stessa lingua partenopea pretende, traspare la regia asciutta e ridondante che Toni Servillo riscopre nel capolavoro Eduardiano, favorendone l’intento originario del testo.

“Le voci di dentro”, scritto nel 1948 da Eduardo De Filippo è l’esperienza quasi surreale di un’allucinazione. Tutto ha inizio da uno sbadiglio profondo, quello dei componenti della famiglia Cimmaruta che si accingono attorno al tavolo bianco per la colazione. In questo alone arruffato del risveglio, da cui i personaggi sembrano nascere, avviene l’incontro con i fratelli Alberto e Carlo Saporito (Peppe Servillo), gli “apparatori di feste popolari” caduti in disgrazia. E qui, nel bel mezzo di una quotidianità ordinaria, in un giorno qualsiasi, Alberto accusa la famiglia Cimmaruta dell’omicidio di Aniello Amitrano (Francesco Paglino). Non ha dubbi: ha visto la scena nei minimi dettagli e il luogo dove gli “assassini” hanno nascosto i documenti che testimoniano il delitto. Fatta la denuncia ai carabinieri e rovistato nell’armadio degli accusati, come colto da un dubbio improvviso, Alberto ha la sensazione agghiacciante che si sia trattato di un sogno: ha sognato così bene, che il fattaccio lo ha vissuto realmente. Lo sdoppiamento della realtà lo stravolge, distruggendo anche quei piccoli equilibri che sostenevano una famiglia comune: ognuno accusa l’altro in un susseguirsi di maldicenze e dicerie. L’unico a tacere è Zì Nicola (Daghi Rondanini), vecchio zio dei fratelli Saporito che, stanco di essere frainteso, comunica solo attraverso il crepitio dei mortaretti.

Questo spettacolo non ha pecche: dal lavoro di tutti gli attori ai costumi appropriati, fino alle scenografie spoglie e scure che lasciano intendere la simbologia del segreto, l’opera vive di una forma intima e insieme collettiva. Forse supera l’originale per aver centrato l’ambientazione, per aver dato una giustificazione effettiva al sogno di un uomo impaurito: la guerra appena finita. Ha paura Alberto, della presenza dei morti, dei rumori che sente quando si zittisce e ora teme l’arresto. Da questo immenso vaso di Pandora trabocca la peggior meschinità: su tutti quella del fratello Carlo, che valutata l’ipotesi dell’arresto di Alberto, vuole impossessarsi dei pochi beni materiali, mostrando così un volto becero e doppiogiochista sospettato fin dalla sua prima comparsa. Il sogno, espediente drammaturgico del tema dell’ambiguità, è inteso qui come il frutto di un trauma: Alberto non è uno scellerato e nemmeno uno stupido; è presumibilmente più vicino allo “scemo di guerra”, colui che non si è liberato dalla sconvolgente ferocia postbellica e che si annebbia alla vertigine della miseria. Il sogno è il segno profondo lasciato dai bombardamenti ai quali si è sopravvissuti senza superarne il frastuono.

“Le voci di dentro” sembra ricostruirsi sulle rovine di quella maccheronica “Napoli milionaria”: forse il rovesciamento della frase «ha da passa’ ‘a nuttata», lì simbolo di speranza, può qui essere l’esasperato “per favore un poco di pace!» proclamato dallo Zì Nicola dall’alto del soppalco. Si è tutti assassini in fin dei conti. I Cimmaruta  della stima reciproca che si rifugia nel piccolo contesto familiare; in misura più ampia nel ritratto di una società diffidente. Non era semplice far emergere questo aspetto, ma Servillo altre ad essere un vero attore è anche un bravo regista. Sorprendente è l’interpretazione di Beppe Servillo impeccabile e all’altezza. Del chiasso dei colpi di scena e quelli dei bengala, della comicità amara che percorre i dialoghi di questo spettacolo osannato rimane un lungo silenzio, fermo, statuario; forse la scena più alta ed emozionante che fa di questa interpretazione un esempio eccellente. «Il pensare stanca più dell’agire» dice Alberto a metà del primo atto: forse «’a nuttata» non passerà…

TitoloLe voci di dentro
AutoreEduardo De Filippo
RegiaToni Servillo
SceneLino Fiorito
CostumiOrtensia De Francesco
SuonoDaghi Rondanini
LuciCesare Accetta
Aiuto regiaCostanza Boccardi
InterpretiChiara Baffi, Betti Pedrazzi, Marcello Romolo, Peppe Servillo, Toni Servillo, Gigio Morra, Lucia Mandarini, Vincenzo Nemolato, Marianna Ribostelli, Antonello Cossia, Daghi Rondanini,Rocco Giordano, Maria Angela Rubostelli, Francesco Paglino
Durata110'
ProduzionePiccolo Teatro di Milano - Teatro d'Europa. Teatro di Roma - Teatri Uniti
Anno2015
GenereCommedia
Applausi del pubblicoFragorosi
In scenaTeatro Argentina di Roma dal 20 Gennaio al 15 febbraio 2015 orari spettacolo martedì e venerdì ore 21.00 mercoledì e sabato ore 19.00 giovedì e domenica ore 17.00