Il colonialismo italiano, questo sconosciuto: uno spazio vuoto da riempire di parole, una nebulosa indistinta fra Libia, Etiopia, Somalia ed Eritrea. Ci pensa la coppia di autori e attori Frosini/Timpano a colmare le vere o presunte lacune con abbondanti spruzzate di “Acqua di colonia“, educando a suon di dati e nozioni il pubblico ignorante: un dichiarato intento «civilizzatore» che è scherzoso, ma mica tanto.

La prima parte dello spettacolo è costruita come un laboratorio teatrale: i protagonisti si stanno inventando una pièce che possa ripercorrere la storia delle colonie italiche ed avanzano ipotesi su ciò che si potrebbe realizzare sul palco, mentre un ospite africano – che cambia ogni sera – è chiamato ad assistere come spettatore muto, fra il contrito, l’imbarazzato e il divertito. A sostegno delle proposte, Timpano e Frosini enumerano svariate fonti, documenti, citazioni: un mantra che bombarda gli spettatori per scuoterli dal torpore dell’indifferenza, ma anche un’esibizione intellettualistica che rischia di ammorbare come una lezioncina saccente. In totale assenza di orpelli scenici, soltanto il brio nella recitazione, riesce a sostenere un testo altrimenti pedante e didascalico.

Nella seconda parte lo spettacolo vira e si risveglia: dal teatro raccontato e immaginato passiamo al teatro agito. Assistiamo alla messa in scena di ciò che era stato ipotizzato. “Acqua di colonia” è dunque uno spettacolo bicefalo; una scelta infelice, che smorza l’effetto sorprendente e surreale delle scenette e rende prevedibili anche le migliori battute: perché quasi tutto è stato già anticipato, risultando così “telefonato”, schematico e ridondante.

Elvira Frosini e Daniele Timpano giocano con i nostri stereotipi sull’Africa, le guerre coloniali e l’immigrazione, smontando false convinzioni ed offrendo rivelazioni grottesche: Topolino in versione abissina e Montanelli sposato a una dodicenne, il politically scorrect del bambino-scimmia sfruttato dalle organizzazioni umanitarie o del mito pasoliniano tramutato in un business radical chic. Con un’efficace cronologia inversa, i protagonisti ci ricordano che il colonialismo italiano non è solo quello fascista, ha radici lontane. In “Acqua di colonia” gli elementi validi non mancano, ma la voglia di strafare, di metterci dentro tutto e spiegare tutto, lo indebolisce.

Alla base di “Acqua di colonia” c’è un corposo e significativo lavoro di ricerca, che gli autori hanno scelto di ostentare in un primo atto non necessario ed insistito. Se questa fase preparatoria fosse stata piuttosto assorbita e metabolizzata, avrebbe potuto restare sottotraccia, ad uno spettacolo teatrale riuscito.

TitoloAcqua di colonia
AutoreElvira Frosini e Daniele Timpano
RegiaElvira Frosini e Daniele Timpano
SceneAlessandra Muschella, Daniela De Blasio
CostumiAlessandra Muschella, Daniela De Blasio
LuciOmar Scala
InterpretiElvira Frosini e Daniele Timpano. Voce del bambino Unicef: Sandro Lombardi.
Durata110'
Applausi del pubblicoRipetuti
In scenadal 28 febbraio al 2 marzo 2017 al Teatro India - Lungotevere Vittorio Gassman - Roma