La verità è un limone
Autore: Selene Gandini Adattamento:
Regia: Gianni Masella
Voce fuori campo: Giorgio Albertazzi Voce Io razionale: Victor Nget De Crescenzo
Musica: Gregorio Mario Modestini
Luci: La verità è un limone
Compagnia: Compagnia Sycamore T Company
Interpreti: Selene Gandini; Attrici video: Greta Rossi, Cristina Rocchetti, Chiara Politanò, Sylvia Kleoniki Sakellaridis, Fatima Ali
Anno di produzione: 2009 Genere: prosa
In scena: in turnè

Spettacolo frizzante che s’ispira al genere che affonda in un misto tra la clownerie e Commedia dell’Arte.
La verità è un limone
ci trasporta in un mondo no-sense, onirico e naïve proprio dell’infanzia. Il protagonista Tuye-yè-yè non è uomo, né donna e neanche un bambino: è un fanciullino pascoliano che anima gli oggetti come nessun altro potrebbe fare e scopre il mondo con occhi sempre nuovi. La soffitta diviene il trampolino di lancio per la creazione di storie e amici immaginari come l’orso di peluche, il cavallo di pezza e la paletta/scopetta. Scoperte, danze e capriole, che nascondono una ricerca ben più seria e profonda: il confronto con gli archetipi fondamentali dell’esistenza, quindi con il padre, la madre, il rito del teatro, Dio e la ricerca del vero senso della vita. Una verità alla quale ciascuno aspira, ma che in parte rimane non svelata. A fornire la risposta si palesa allora la classica tematica pirandelliana (la filosofia del pensiero debole tanto amata dall’autore), data dalla misteriosa signora Ponza: “Io sono colei che mi si crede”. Qui la saggezza di Tuye suggerisce che per essere felici basta invece appagare la propria interezza: “Basta rimanere interi”. L’Augusto estroverso che ci si presenta all’inizio della storia, si trasforma verso la fine in un Clown bianco triste e malinconico, che piangendo evidenzia tutte le contraddizioni irrisolte e le paure da superare per raggiungere una seppur momentanea serenità esistenziale.
L’idea alla base del testo scritto da Selene Grandini - attrice protagonista -, è buona; tuttavia la storia risulta in alcuni punti frammentaria e a volte poco comprensibile. Seppur interessante, la sua interpretazione non sempre riesce a rendere nel modo giusto i passaggi e le sfumature da un climax all’altro, e durante il racconto si perde il senso di alcune frasi e parole. La voce fuori campo di Giorgio Albertazzi è dissacrante e spassionata, ma non sembra ben assortita con la storia: piomba come un deus ex-machina a risolvere ed accompagnare il momenti di malinconia di Tuye. La voce di un bambino (che si definisce lato razionale, ma che dovrebbe al contrario coincidere con l’irrazionale e la parte creativa di noi stessi), si dilunga in affermazioni un po’ pleonastiche e letterarie più consone ad un saggio che ad uno spettacolo teatrale. Le luci potevano essere migliori, così come in alcuni punti la regia, che ha inserito in modo troppo decontestualizzato alcuni video proiettati su lenzuoli disposti come fondale.
Nel complesso tuttavia è uno spettacolo apprezzabile, passibile di miglioramenti, ma comunque da vedere per promuovere la nuova generazione di attori e registi che ha diritto di sperimentarsi e sperimentare ricercando come Tuye-yè-yè la sua verità e il suo modo di interpretare la parola “teatro”. [annalisa picconi]