Il vecchio e il cielo
Autore: Cesare Lievi Traduzione:
Regia: Cesrae Lievi
Scene: Josef Frommwieser Costumi: Gigi Saccomandi
Luci: Musica:
Produzione: CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia
Teatro Nuovo Giovanni da Udine

Interpreti: Gigi Angelillo, Ludovica Modugno, Paolo Fagiolo, Giuseppina Turra

Anno di produzione: 2011 Genere: drammatico
In scena: fino al 21 aprile al Teatro India di Roma

Ritrovarsi a 70 anni pensionati. Dopo una carriera come preside integerrimo, seppur dedito a qualche libertinaggio di troppo con le allieve maggiorenni, il protagonista si ritrova a fare la fila alla posta per ricevere il primo pagamento. Entusiasmo ed eccitazione sono i sentimenti che lo contraddistinguono. Dopo aver contato per quattro volte la pensione, dirigersi al bar per festeggiare è automatico. Qui, per la gioia dell'esperienza inedita, offre un caffè ad un barbone nel locale. Un incontro casuale che lascerà tracce indelebili nell'animo inaridito del pensionato. Stordito dalle troppe emozioni, senza riflettere invita il clochard a casa: doccia e abiti puliti sono offerti in automatico. Ma, c'è un ma. Lo sconosciuto prende il sopravvento, ruba i soldi presenti nella busta, aggredisce l'uomo e se ne va, minacciandolo.

L'avvenimento, in un primo momento spinge l'ex preside a chiamare le due donne della sua vita: la figlia gallerista (una calzante Giuseppina Turra) e la compagna di una vita Donata (l'ottima Ludovica Modugno). Maltratta quest'ultima e si lascia abbindolare dalla figlia. Atto dopo atto, l'incontro con Cielo gli fa mettere in discussione l'intera esistenza. Da misogino, misantropo e traditore, lentamente le verità che immagina gli riveli il barbone, mettono in dubbio tutto il suo mondo. Tenta di recuperare, inutilmente, il rapporto con l'ex compagna e si lascia blandire dalla figlia, che desidera dal padre solo denaro e accondiscendenza.

Il vecchio e il cielo” scritto e diretto da Cesare Lievi, dopo un inizio interessante, che mostra Angelillo, nei panni del pensionato, ripercorrere a mente la mattinata, scade lentamente ma inesorabilmente nel prevedibile. La storia del barbone, che può essere visto solo dal protagonista e che con la sua libertà e ribellione dalle regole prestabilite, ribalta lo stile di vita del misogino è nota. Nei dialoghi non ci sono guizzi narrativi. La scena da un iniziale claustrofobia, con alte pareti e serrature inattaccabili, si apre, si allarga, arieggia. A simboleggiare la mente del pensionato. Puro connubio tra testo e regia. Per chiudersi su se stessa. Eppure i discorsi tra i due uomini sono prevedibili, non colpiscono. In parte dipende anche dall'interpretazione di Paolo Fagiolo, troppo accademica, poco interiorizzata e a volte rigida. Il confronto con Angelillo è impietoso. Da una parte c'è un Angelillo perfetto nella caduta e inutile risurrezione emotiva, dall'altra il deus ex machina della storia è freddo e affatto nella parte. Un peccato: lo spettacolo prometteva scintille, lascia sonnolenza. [valentina venturi]