Il vantone
Autore: Pier Paolo Pasolini
Adattamento:
Regia: Roberto Valerio
Scene: Giorgio Gori
Costumi: Lucia Mariani
Musica:
Luci: Emiliano Pona
Compagnia: Produzione: Teatridithalia/Associazione Teatrale Pistoiese
Interpreti: Luca Giordana, Massimo Grigò, Roberta Mattei, Michele Nani, Nicola Rignanese, Roberto Valerio
Anno di produzione: Genere: dramma
In scena: in turnè

Un vero e proprio amore ha legato Pasolini a Roma. La città cui deve, come ha raccontato egli stesso, la maturità. Quella città che se dovesse avere un sesso, scrive il poeta, “non sarebbe né maschile né femminile ma sarebbe il sesso dei ragazzi nell’età dell’adolescenza”. E avrebbe le sembianze di un “tipico ragazzo romano di borgata: cioè bruno, olivastro, con l’occhio nero e il corpo aitante”. È questa “grande capitale popolare” dall’anima giovane e canzonata quella che il regista e attore Roberto Valerio ha scelto di recuperare attingendo alla grande memoria narrativa e cinematografica pasoliniana, ne Il Vantone che ha aperto la stagione del Teatro India. In scena c’è la metropoli allegra del dopoguerra, quella dei fieri “racconta balle”, dei “vantoni” da bar. Quella di Pietralata o del Prenestino dove la quotidianità si consuma tra bravate, corse e risate. Istantanee di giornate che prendono corpo attraverso un linguaggio asciutto e crudo, sempre ironico e denso di significati, costruito su un crescendo di metafore che suonano come piccole e grandi lezioni di esistenza consumata sulla strada.
Nello spettacolo di Roberto Valerio rivive tutto il disincanto e l’autenticità della vita delle baracche, in quella periferia proletaria e sottoproletaria oggi dimenticata, dove tra sporcizia e rifiuti si sente tutto il respiro “indigeno” della città. La messa in scena di Valerio, essenziale nella scenografia, si concentra sul linguaggio e sui personaggi, nel recupero minuzioso di quel dialetto la cui perdita rappresentò per il poeta friulano una delle grandi tragedie dell’Italia moderna sia da un punto di vista culturale che antropologico.
Il Vantone rappresenta da una parte un sincero atto d’amore verso Pasolini e verso quella Roma genuina che ormai non c’è più. “Stupenda e misera città - scriveva di Roma il poeta di Casarsa ne “Il pianto della scavatrice” - che m’hai insegnato ciò che allegri e feroci gli uomini imparano bambini, le piccole cose in cui la grandezza della vita in pace si scopre, come andare duri e pronti nella ressa. Stupenda e misera città che mi hai fatto fare esperienza di quella vita ignota: fino a farmi scoprire ciò che, in ognuno, era il mondo”.
Lo spettacolo di Valerio rappresenta un’immersione malinconica nel passato, in ciò che non siamo più. Con l’amara consapevolezza che quella Roma “stupenda e misera” ha lasciato spazio ad una città come tante altre: “piccolo-borghesi, meschine, cattoliche, impastate di inautenticità e nevrosi”. [sabina pisu]

| 2011 |