L'ultimo incubo di Edgar Allan Poe
Autore: Biagio Proietti Adattamento:
Regia: Biagio Proietti
Scene: ------------------------- Costumi: -------------------------
Musica: Fabio Bianchini
Luci: -------------------------------
Produzione: Associazione Culturale “ENTER”
Interpreti: Luca Milesi, Maria Concetta Liotta
Anno di produzione: 2009 Genere: drammatico
In scena: fino al 10 Maggio 2009, Teatro Agorà | via della Penitenza 33, Roma | tel. 066874167

“Dopotutto potrebbe essere vero che i miei racconti siano scritti per scherzare, anche se è possibile che questo scopo sia rimasto ignoto in parte anche a me”. Edgar Allan Poe

“Mi hanno chiamato folle; ma non è ancora chiaro se la follia sia o meno il grado più elevato dell'intelletto, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non nasca da una malattia della mente, da stati di esaltazione della mente a spese dell'intelletto in generale”. Da Eleonora, 1841.
Così troviamo Edgar Allan Poe il 6 ottobre 1849, rinchiuso in un ospedale di Baltimora all’alba della sua ultima notte di vita. Verrà ritrovato morto alle cinque del mattino successivo. Una notte piena di rimpianti e d’incubi è quella immaginata da Biagio Proietti, autore nonché regista dello spettacolo: in queste ore Poe - un convincente Luca Milesi in un ruolo assolutamente non facile e sulle cui spalle si sostiene tutto il “peso” dello spettacolo -, viene visitato dai fantasmi del passato e dalle creature fantastiche da lui partorite, protagonisti delle sue storie e trattati come figli amati ed odiati, cercati e respinti, in un flusso continuo ed angoscioso che lo conduce al delirio, fisico e mentale.
Racconti della vita del poeta, dall’esperienza nell’esercito alla moglie morta di tubercolosi, si mescolano con evocazioni tratte dalle sue opere (Hop-Frog. Manoscritto trovato in una bottiglia, La verità sul caso di Mr. Valdemar, Il pozzo ed il pendolo, La maschera della morte rossa), come gli incontri nello spazio fisico e nella sua mente si mescolano con alcuni dei personaggi da lui creati (Morella, Berenice).
Un patchwork di vita, opere, poetica, incubi che vanno a comporre lentamente sotto i nostri occhi il ritratto di un uomo ‘bigger than life’ come direbbero a Hollywood, attraverso un fiume di parole ed un lavoro sulla prossemica degli oggetti che appaiono confusamente gettati a caso sul palcoscenico nudo e oscuro, come un quadro di Magritte, con il quale condivideva la medesima rappresentazione del reale: mai interpretato, sempre mostrato nel suo ‘mistero indefinibile’.
[fabio melandri]