Il sottosuolo
Autore: Fedor Dostoevskij Adattamento: Valentino Orfeo
Regia: Valentino Orfeo
Scene: -------------------------------
Luci: ---------------------------------------
Musica: -----------------------------
Produzione: --------------------------------
Interpreti: Valentino Orfeo
Anno di produzione: 2009 Genere: monologo

In scena: fino all'8 novembre ottobre al Teatro dell’Orologio - Sala Orfeo di Roma |Via de’Filippini 17/A Roma Tel. 06 6875550 | tutti i giorni alle 21,30 - la domenica h. 18 |

Al Teatro dell'Orologio Valentino Orfeo è in scena con Il sottosuolo, un libero adattamento della novella Le memorie del sottosuolo, di cui è anche regista ed unico attore. È un suo cavallo di battaglia, che gli valse persino l'invito a rappresentare la drammaturgia italiana al festival di Omsk. Orfeo si muove su un palco dominato da un letto-bara con grande capacità attoriale in un'alternanza di brani malinconici, intime confessioni sulla propria condizione misera e smorfie di una malignità istrionica.
La piéce prende le mosse dall'opera di Dostoevskij scritta nel mezzo del cammin della sua vita, quaranta anni, periodo in cui aveva già abbandonato la militanza socialista e ricevuto una condanna a morte. Le memorie del sottosuolo prelude a quelli che saranno i capolavori della maturità, emerge in modo folgorante la presenza dell'incoscio, non quindi una scoperta autografa, di Freud bensì uno spunto a cui lo psicanalista austriaco attinse.
Nel sottosuolo il protagonista, ramingo e rinchiuso in se stesso, vittima della sua stessa pigrizia, è un reietto della società di cui finge di non sentire la necesità. La sua esistenza si concretizza nell'autoaffermazione della propria volontà di rinunciare al mondo ed irriderlo, criticando tutti coloro che ritiene inferiori. Come un topo emerge dai bassifondi, si erge e si esprime riversando sugli esseri più deboli tutta la sua acrimonia.
E' un grido di dolore nei confronti di un'esistenza che rinuncia ad una felicità preordinata e studiata a tavolino, quella felicità fittizia perchè imposta da un'ideologia razionale.
Dostoevskij e con lui Orfeo rinunciano perciò alle tentazioni giovanili dell'ideologia ordinatrice di Fourier per concedersi il lusso dello svantaggio; è un'elogio alla solitudine che strizza velatamente l'occhio all'esigenza della fede. L'allestimento scenico, fatto di pesanti quinte nere che bloccano l'orizzonte in uno spazio soffocante – che in certo qual modo rievoca la nobiltà morale della Morte di Marat di Jacques Luois David -, echeggia la reificazione dell'individuo e della sua amara condizione quasi relegandola ad un'atmosfera metafisica in cui non vi sono vie d'uscita. [paola di felice]