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Gli occhi al cielo
Autore
Massimo Vincenzi
Regia
Carlo Emilio Lerici
Voci Registrate

Stefano Molinari, Fabrizio Bordignon,
Davide Gagliardini, Carlo Emilio Lerici

Musica
Francesco Verdinelli
Produzione
Centro Culturale G. Belli
Interpreti
Francesca Bianco
Anno
2006
Genere
monologo
On stage
Teatro Belli (Roma)
Note
atto unico

Al Teatro Belli di Roma è in scena “Gli occhi al cielo. Suoni, parole, dolori dall’atomica all’11 settembre”, testo scritto da Massimo Vincenti e diretto da Carlo Emilio Lerici. Si tratta di un monologo basato su due voci, due madri che raccontano, descrivono e vivono il proprio dramma di genitrici durante la guerra. Che poi sia la Seconda guerra mondiale o l’11 settembre poco importa: il dolore è universale. Tra loto le due genitrici sono lontane nel tempo, nel carattere e nella realtà che stanno vivendo. Eppure vicine. Una è giapponese e nell’agosto del 1945 vive a Kokura. Siamo quindi nella città scelta come obiettivo della prima bomba atomica, e poi, a causa di un improvviso temporale, risparmiata all’ultimo istante.
L’altra madre vive a Manhattan e lavora alle Twin Towers nel settembre del 2001...
Sono due mamme che pensano e riferiscono ogni atto e pensiero ai loro bambini, specchiandosi nel cuore e negli occhi del figlio. Il tempo e lo spazio implicano la necessità narrativa di presentare la loro esperienza con termini e parole diverse, ma in fondo le storie sono uguali: il loro dolore è unito da un filo sottile, quello della paura e della sofferenza che riesce ad attraversare gli anni e i luoghi.
Quella interpretata da Francesca Bianco è un’esperienza che mischia finzione scenica e cronaca storica degli avvenimenti che fanno da sfondo alla narrazione. Il vero e il verosimile, quindi, si mischiano e si trasformano nella traccia testuale che porta gli spettatori dentro e attraverso l’unica realtà oggettiva: il dolore delle vittime di tutte le guerre.
La scena è necessariamente scarna: luci blu e rosse scandiscono i due tempi del dramma, uniti dalle voci dei piloti dei due aerei. Essenzialità registica che rimanda all’essenzialità emotiva del dolore.
[valentina venturi]