The Four Seasons Restaurant - del ciclo “Il velo nero del pastore”


Anno
2012

Genere
drammatico

In scena
20 al 21 novembre 2012 al Teatro Maillon di Strasburgo

Autore
Romeo Castellucci
Regia
Romeo Castellucci
Scene
Romeo Castellucci
Costumi
Romeo Castellucci
Luci
Claudio Amadei
Musica
Scott Gibbons
Interpreti
Chiara Causa, Silvia Costa, Laura Dondoli, Irene Petris
Produzione
Socìetas Raffaello Sanzio

 

Presentato in anteprima al Festival d’Avignone lo scorso luglio, “The Four Seasons Restaurant” è la terza opera della Trilogia dedicata da Romeo Castellucci al complesso rapporto tra l’artista e l’immagine, dopo “Sul concetto di volto nel figlio di Dio” e il “Velo nero del Pastore”. L’antefatto – si legge nelle note di regia – è la decisione del pittore Mark Rothko di ritirare nel 1958 delle tele commissionate da un ristorante di New York, il Four Seasons, perché considerato un luogo inadatto all’esposizione. I quadri saranno poi esposti in seguito alla Tate Modern di Londra.

E’ bizzarro come l’antefatto sia totalmente scollegato da ciò che si vede in scena, tanto da far nascere il dubbio di aver frainteso le note di regia: quello che ispira un drammaturgo, alla fine, non è poi così interessante per il pubblico, è piuttosto un fatto razionale, mentale, pane per i denti dei critici teatrali. Il teatro di Castellucci, inoltre, è un teatro fisico, in cui ogni singola parte della scena viene vissuta fino in fondo: gli attori, gli oggetti, il sipario. È un teatro che irrompe, violenta la platea con la forza del rumore dei buchi neri dell’universo. Dopo averla stordita, quasi annientata della capacità di reazione, si apre il sipario e compare una scena bianco lunare, un quadro vivente di Fattori, con donne che si muovono con gli stessi gesti ritratti dal pittore realista italiano, mentre recitano dei versi ispirati a “La morte di Empedocle” di Hölderlin.

L’artista di Cesena mette in scena l’intera iconografia italiana, tratta da dipinti, statue; il suo gusto estetico è fortemente italiano, come lo è quello per l’oratoria, fattore che emerge ancora più a Strasburgo. Le figure femminili presenti in scena invece portano fucili e indossano divise che solo tramite una nuova nascita, uno spoglio integrale riportano ad una purezza, all’autenticità. Il sipario nero sembra quasi ingoiare quella bellezza, quella classicità, come un mare cattivo che divora tutto e lascia sulla scena un cavallo morto; poi un tuono squarcia quell’oscurità creando nuovo caos, un Big Ben che dà luogo ad un’immagine, un volto femminile adorato da un coro di vestali.

In un’intervista Castellucci ha definito “The Four Seasons Restaurant” un atto di rifiuto, un “homme en révolte” alla Albert Camus: qui però non emerge umanità, ma violenza. Ed è proprio qui il suo limite: si può usare la provocazione e la violenza affinché il messaggio venga recepito in modo forte e chiaro dal pubblico? Sembra piuttosto una scorciatoia, che non fa onore al talento del regista. Basti pensare al maestro Peter Brook, che usa la grazia, la gentilezza, per comunicare al pubblico. Si percepisce durante tutta la rappresentazione, una tensione, una rabbia, che è l’amplificazione di quello che sembra essere un conflitto interiore dell’artista, muto ma assordante, autoreferenziale. Oggi la vera rivoluzione, a teatro come nella vita, sarebbe opporre alla violenza dei rumori, delle immagini, un messaggio fatto di una determinazione gentile e costruttiva. Spiace che Castellucci usi la retorica violenta per catturare lo spettatore. Il talento c’è, la sintesi pure. Occorrerebbe superare il dualismo e avere più rispetto per il pubblico.
[deborah ferrucci]

| edizione 2013 |