Elephant Man


Anno
2012

Genere
dramma

In scena
fino al 17 febbraio
Teatro Ghione | Roma

Autore
Giancarlo Marinelli, tratto dall’omonimo racconto di Frederick Treves
Regia
Giancarlo Marinelli
Scene
Andrea Bianchi/Forlani
Costumi
Marta Crisolini Malatesta
Luci
Daniele Davino
Interpreti
Ivana Monti, Daniele Liotti, Debora Caprioglio, Rosario Coppolino, Andrea Cavatorta, Francesco Cordella, Serena Marinelli, Simone Vaio
Produzione
Piccolo Teatro di Milano
Compagnia
Molière

 

In pochi personaggi la cognizione del dolore è così viva e corporea come in Joseph Merrick, attrazione dei freak show inglesi di fine Ottocento, dove la deformità fisica veniva esibita come spettacolo da dare in pasto a folle in cerca di svago. Le dicotomie tra una fisicità repellente e una sensibilità spiccata, tra violenza e tolleranza, tra la pietà e i limiti della medicina e della scienza, sono al centro della storia d’amicizia, priva di lieto fine, tratta dalle memorie del dottor Frederick Treves, dal quale David Lynch nel 1980 sceneggiò “The Elephant Man”, suo primo vero successo commerciale.

Nella Londra del 1889, in preda alla psicosi causata dai delitti di Jack lo squartatore, Merrick si esibisce come uomo elefante negli spettacoli di strada allestiti da Thomas Norman, impresario malvagio e alcolizzato che lo tratta come una sorta di animale di sua proprietà. Dopo aver ricevuto del denaro, quest’ultimo acconsente che, per un breve periodo, il dottor Treves conduca con sé la deforme creatura, per esporre le sue malformazioni ai colleghi dell’ospedale in cui lavora. A poco a poco il medico si prende cura di Merrick e, aiutato dalla scontrosa Miss Shead, capo infermiera del reparto, convince il direttore ad ammetterlo nella struttura a tempo indeterminato. Norman però non è d’accordo e, assieme al vizioso rampollo di un consigliere d’amministrazione dell’ospedale, mette in pratica gli stratagemmi più crudeli per trascinare nuovamente Merrick nel girone infernale dei freak show.

Se l’esito della rappresentazione appare nel complesso positivo si deve soprattutto alla prova degli attori. Più avvezzo alla televisione e al cinema che non al teatro, Daniele Liotti indossa con personalità i panni e la maschera deforme di Joseph Merrick, impresa tutt’altro che agevole sia dal punto di vista fisico che verbale. Toccante quando con voce incrinata declama i versi «Oh capitano, mio capitano!» di Walt Whitman. Al suo fianco un pezzo di storia del teatro come Ivana Monti e Deborah Caprioglio, convincente soprattutto nei momenti più drammatici. Meno efficace Rosario Coppolino, somigliante più a Lele Martini di “Un medico in famiglia” che al giovane Treves, luminare dal carattere tormentato che incarna le idealità della tradizione empirista e del riformismo inglese di fine Ottocento. Gli attori sono ben diretti da Giancarlo Marinelli, autore della riduzione e dell’adattamento del testo originale. La scenografia, poco originale, non restituisce fino in fondo l’ambientazione della Londra sporca e fumosa dell’età vittoriana. Anche i cambi di scena suscitano qualche perplessità, mentre i costumi riproducono più o meno fedelmente la cifra dell’epoca. Discreto l’utilizzo delle luci. La scena si chiude sulle note dell’Adagio per orchestra d’archi di Samuel Barber, esattamente come nel film di Lynch. [valerio refat]