Le scelte del Grido
[a cura di simone pacini]
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4 – 9 novembre Teatro India
ANIMENERE
dal romanzo di "Di questa vita menzognera" di Giuseppe Montesano
scritto e diretto da Alfonso Santagata
produzione Compagnia Katzenmacher

“Le Anime Nere – spiega Alfonso Santagata - sono come delle apparizioni, insicure, si nascondono, fino al giorno del loro “debutto” che può essere in un ufficio o in televisione, in un grande palazzo di governo, in un basso napoletano. Dopo il “debutto” le Anime Nere non si nascondono più, sono tante, non c’è più quella insicurezza prima del debutto, adesso sono sicuri e forti. La famiglia Belmondo è capostipite delle Anime Nere; è diventata in pochissimo tempo una potenza economica e politica; è avanguardia da emulare. Il loro successo ha creato uno stile di vita disinvolto e agguerrito, non amano le regole in generale, ma solo le proprie, non conoscono ostacoli, non hanno nemici, predicano amore e convivenza a tutti, inneggiano a un futuro strabiliante di benessere per tutti. In poco tempo, ma con tanto lavoro, occupano i posti importanti del potere. Una famiglia di Anime Nere che ormai fa spettacolo, vive in proscenio, illuminata da quarzine rosse, gialle e livide; si spostano solo per origliare e spiare; appena possono tornano alle quarzine colorate del proscenio.”
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5 – 8 novembre Teatro Olimpico
Juliette Binoche/Akram Khan
IN-I
codiretto e interpretato da Juliette Binoche e Akram Khan
scene Anish Kapoor
produzione Khan Chaudhry Productions & Jubilation Productions

Avreste creduto possibile vedere Juliette Binoche danzare guidata da uno dei più singolari e famosi coreografi della scena contemporanea? Oppure vi sareste immaginati il coreografo e danzatore Akram Khan imbracciare la chitarra sul palcoscenico e mettersi a cantare? Ecco In-I, un incontro rischioso tra due personalità forti e spiccate come quelle di Khan e Binoche che daranno vita a uno spettacolo tra danza, musica, canto e recitazione, carico di una buona dose d’imprevedibilità. Dove i due si concedono a notevoli azzardi, mettendosi in discussione come individui e come artisti. Juliette Binoche ha deciso di piroettare fuori dal set cinematografico, dedicando per un paio d’anni la sua vita al teatro. C’è di più: oltre a recitare, che in fondo è la sua maestria, ha deciso di danzare, sottoponendosi a una lunga preparazione e mettendosi nelle mani di un coreografo del tutto peculiare come Khan. Nato a Londra da una famiglia originaria del Bangladesh, Khan ha fatto delle sue doppie radici orientali-occidentali il tratto distintivo della sua personalità, coltivando fin da piccolo il kathak, una danza classica dell’India del Nord altamente stilizzata, e poi, interessandosi ai moderni linguaggi della danza contemporanea, ha sviluppato uno stile personale che fonde queste due culture. Spettacolo in prima nazionale presentato nell'ambito di European Theatre Season.
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7 – 9 novembre Teatro Palladium
Muta Imago
LEV
ideazione Glen Blackhall, Riccardo Fazi, Claudia Sorace, Massimo Troncanetti
regia Claudia Sorace
drammaturgia/suono Riccardo Fazi
realizzazione scena Massimo Troncanetti
con Glen Blackhall
produzione ZTL-pro/Santasangre - Kollatino Underground

Segnalato al premio Tuttoteatro.com-Dante Cappelletti 2007. Un uomo apre gli occhi. Si guarda intorno. C’è poca luce, non riesce a capire dove si trova. Attraversa lo spazio, conta i passi, si avvicina a una parete, in cerca di rumori. Appoggia l’orecchio al muro. Le luci esplodono, le pareti diventano mucchi di fango e tra le grida dei compagni e i fischi delle pallottole l’uomo si getta a terra. E riprende a ricordare. Muta Imago sceglie di creare una storia a partire dalle pagine del diario di Lev Zasetsky, soldato russo, paziente del neuropschiatra Alexander Lurja, per parlare della nostra condizione di esseri umani, dell’incessante tentativo di ricostruire qualcosa che si è perso, l’identità, la memoria, a partire da frammenti scomposti e disordinati.. E lo fa con un atteggiamento politicamente provocante, dai saldi risvolti esistenziali, venato da una certa dose di ironia e perfino di autoironia. Uno spettacolo che procede per immagini fulminanti, come quelle che si formano improvvisamente nella coscienza di Lev, senza preavviso. Una drammaturgia che si compone di gesti disperati che lottano contro un universo che si sfalda in continuazione. Spettacolo presentato nell’ambito del festival europeo TEMPS D’IMAGES 2008 (Trailer: http://www.romaeuropa.net/it/sito/festival/festival-2008/flashvideo/)
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14 – 15 novembre Auditorium Conciliazione
Compagnie Montalvo – Hervieu
GOOD MORNING MISTER GERSHWIN
coreografia Josè Montalvo e Dominique Hervieu
musiche George Gershwin
coproduzione Centre Chorégraphique National de Créteil et du Val-de-Marne/Compagnie Montalvo-Hervieu e altri

È un incontro elettrizzante quello di José Montalvo e Dominique Hervieu con il mondo di George Gershwin avvalorato dalla profonda sintonia che lega i due coreografi al compositore. Li accomuna lo slancio verso un’arte fantasiosa e piena di idee ma sempre di immediata comprensione, li sorregge una identica adesione all’eclettismo di forme e di linguaggi artistici anche lontani, convinti come sono che la fusione di stimoli culturalmente diversi rifletta anche una visione della società. La loro consonanza si è già concretizzata nell’allestimento curato da Montalvo e Hervieu di Porgy and Bess, andato in scena ad aprile e accolto con successo all’Opera di Lione: primo approccio scenico per arrivare a questo nuovo spettacolo su tutto Gershwin e le sue innumerevoli sfaccettature che hanno scatenato una compagnia come Montalvo-Hervieu il cui vocabolario di danza contemporanea spazia tra venature classiche, afro-jazz, hip-hop, clown-dancing, capoeira, e altri stili acrobatici e urbani. Con loro si parte per un viaggio avventuroso nella musica di questo compositore fino ad arrivare ai jazz club e alle atmosfere cinematografiche, alla scoperta di quella cultura musicale e coreografica anni ‘20 e ‘30 dei neri americani, come le “Dance Band” in stile Hotel Savoy, e che ha segnato una rivoluzione nel ballo di coppia e influenzato profondamente l’universo della danza del secolo passato. In prima nazionale.
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14 – 16 novembre Teatro India
Le Vie dei Festival - Progetto Hermanis
SONJA
regia Alvis Hermanis

Alvis Hermanis è già stato ospite del Teatro di Roma con Das Eis (Il ghiaccio), spettacolo presentato nel 2005 durante il Festival dell’Unione dei Teatri d’Europa. Sonja è una miniatura impressionista di una donna sola, il cui destino ha giocato un brutto tiro che si trasformerà nella sua gioia più grande. Sonja è una donna semplice, bruttina, un po’ sola. Ma possiede anche dei talenti: è un’eccellente cuoca e una buona sarta, inoltre è bravissima a far innervosire le persone. Un giorno riceve una lettera d’amore e il cuore di Sonja si infiamma. La regia di Alvis Hermanis guida l’attore maschio a svelare le sottili contraddizioni: “Il mio scopo non è trasformarlo in donna – sottolinea il regista - la questione è avvicinarsi a quel tipo di sensibilità per comprenderla. Non porto l’attore a far finta di essere una donna. Il lavoro cerca di creare un’immagine femminile, un carattere, e di parlare di un’anima. Dubito che l’anima possa avere un sesso”. Spettacolo in lingua originale con sopratitoli in italiano.


16 – 18 novembre Teatro India
LONG LIFE
regia Alvis Hermanis

L’ approccio che Alvis Hermanis esplora potrebbe essere chiamato Nuovo Realismo: un ambito nel quale la realtà e la fiction sono confuse ed il processo della vita reale prevale sulla storia. La diffusione in Tv dei Reality Show ha totalmente cambiato il livello di credibilità che lo spettatore è in grado di accettare o, per usare un termine di Stanislavskij, del quale è in grado di “fidarsi”. Long Life è uno spettacolo che non si basa su un testo o su una storia: la performance nasce dalle personali osservazioni degli attori. Diversamente dalle altre produzioni di Alvis Hermanis dove gli attori mimano se stessi, qui gli interpreti, che hanno tutti meno di trent’anni, tornano ai fondamenti basilari del teatro copiando letteralmente la realtà. Non è un caso che il tema di Long Life sia uno fra soggetti più impopolari: la vecchiaia: dal 1990 il capitalismo contemporaneo dell’est Europa ha discriminato i cittadini più anziani al punto da poter essere paragonato ad un esperimento antropologico o ad un particolare reality show dove i ruoli sono ancora incerti, ma dove il vincitore è chi muore per primo o per ultimo. Spettacolo in lingua originale con sopratitoli in italiano.
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20 -21 novembre Teatro Arvalia
IL FESTINO
testo e regia Emma Dante
con Gaetano Bruno
luci Antonio Zappalà
produzione Sud Costa Occidentale

Emma Dante non ha certo bisogno di presentazioni. Di questa sua ultima fatica dice: “Paride sono io. Io e mio fratello siamo identici come due gocce d’acqua con l’unica differenza che io cammino e lui no. Io sono il corpo e mio fratello è la mente, io mangio e Iacopo si sazia, io dormo e mio fratello sogna. Quanti scherzi abbiamo fatto e tutti ci cascavano: ci scambiavamo i nomi e nessuno poteva distinguerci, tranne la mamma che puniva solo me. Ogni volta che io mi sedevo sulla sedia a rotelle di mio fratello per fare uno scherzetto, la mamma mi chiudeva al buio nello sgabuzzino. Te la posso dire una cosa? Ho passato la vita dentro lo sgabuzzino, in castigo, da solo. All’inizio avevo paura, mi mancava l’aria e le scope mi guardavano storto! Oggi, Paride compie trentanove anni e dietro la porta non c’è più nessuno. Persa è la chiave e nello spazio ristretto dentro il quale vive, si allarga ogni giorno la sua libertà. Con un senso di felice evasione, Paride s’inverte col suo doppio, ci gioca, lo sfotte e non capisce più se dei due è l’altro o se stesso. Dentro lo sgabuzzino scarta il regalo del suo compleanno, ricevuto dal padre: otto scope e una lettera di auguri. Lo stanzino si affolla: Guendalina, Giangaspare, Vincenzo, Antonella, Carola e Sammy sono invitati al festino dei due gemelli. Iacopo balla con le scope mentre Paride gli sussurra all’orecchio la formuletta magica: le scope rimangono dritte, in equilibrio”.

20 – 23 novembre Teatro Palladium
Fumiyo Ikeda/Alain Platel /Benjamin Verdonck
NINE FINGER
ideato da Fumiyo Ikeda, Benjamin Verdonck, Alain Platel, Anne-Catherine Kunz, Herman Sorgeloos
con Fumiyo Ikeda, Benjamin Verdonck
produzione Rosas, KVS, De Munt / La Monnaie

Tre energiche personalità attive sulla scena belga ma diverse per origine e percorso artistico, la danzatrice Fumiyo Ikeda, il guru del teatro-danza Alain Platel e il performer, danzatore e mimo Benjamin Verdonck, uniscono le loro forze per un lavoro teatrale di sconvolgente impatto emotivo e di prepotente fisicità, con i piedi ben piantati nel presente. Protagonista di Nine finger (Nove dita) è un “bambino soldato” africano come lo chiamerebbero i media, o una “bestia senza una nazione” secondo il titolo del romanzo di Uzodinma Iweala, che ha ispirato lo spettacolo. Nel romanzo di Iweala la lingua regredisce e si scompone nel raccontare scenari di inconcepibile violenza: in Nine finger è lo spunto per intraprendere un viaggio nell’universo infantile, dove tutti i linguaggi teatrali sono usati e a loro volta fatti regredire fino alla scomposizione. Verdonck interpreta le voci interiori del fanciullo che indifese continuano a ripetergli quanto sia cattivo; Ikeda intona la sua voce ed eleva i suoi movimenti come fosse la sua ombra. Due figure opposte per un’analisi degli impulsi, delle emozioni e dei sentimenti del bambino soldato, un’ indagine che come sempre con Platel si apre a vertigini psicologiche. Un mondo reso dalla sfrenata fisicità di due interpreti molto diversi: una donna e un uomo, un’asiatica e un europeo, uno alto, l’altra bassa e, si noti, nessuno dei due africano. Una scenografia minimalista e il suono affidato ai versi degli uccelli della foresta sono l’ordito di un mondo e bastano a essere casa, barca, accampamento o paesaggio devastato. Incendiaria miscela di danza e di teatro, Nine finger racconta con forza un mondo terribile, con umanità, con ironia a volte, sempre con poesia. Spettacolo in prima nazionale.
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20 – 23 novembre Teatro India
BIKINI BUM BUM - due pezzi intorno a una fenomenologia dello spirito
regia e con Roberto Latini
produzione Fortebraccio teatro/Fondazione Pontedera teatro
In prima nazionale, il nuovo lavoro di Roberto Latini si struttura in una forma duale, pensando a una drammaturgia costruita su due forme diverse dello stesso stare scenico: il medesimo corpo-spettacolo vestito da due parti differenti eppure complementari. Indivisibili apparentemente come l’atomo eppure ulteriormente sezionabili. Una prima forma principale come fosse prologo, logo ed epilogo, la seconda come variazione possibile. Una parte è incentrata sull’individuo come società privata, l’altra sul doppio, tracciando un percorso che va dal concetto di coppia a quello del sé. Lo spettacolo si costruisce attorno a piccole storie senza vero sviluppo, come fossero pensieri che portano ad altri pensieri, autonomi e collegati come anelli di una sola catena.
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25 novembre – 21 dicembre Teatro Argentina
PORCILE
di Pier Paolo Pasolini
regia Massimo Castri
Produzione Teatro di Roma
In Porcile, versione epico – lirica di uno degli episodi che Pasolini realizza in un film nel 1969, la barriera della separatezza tra Potere e individuo è altissima: non solo il Potere non ha nessuna intenzione di abbatterla, ma l’individuo, il “diverso”, la vive come la sola tutela alla propria radicale trasgressione. Da una parte l’industria, i cui magnati potrebbero essere disegnati da Grosz sotto forma di un grosso maiale, dall’altra il venticinquenne figlio di magnati, Julian Kotz, chiuso a riccio nel proprio mutismo, pazzo del proprio desiderio prepotente e infantile che è per lui la sola riserva di felicità. Nell’odore di concime e di stallatico, che si leva alto nell’aria della Renania, i maiali, i maiali veri, penseranno loro, emissari involontari del Potere padre e assassino, a far a brani Julian. In prima nazionale
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dalle ore 17.00 del 29 Novembre alle ore 17.00 del 30 Novembre Teatro Palladium
Accademia degli Artefatti
ONE DAY. Finalmente vivere servirà a qualcosa
concept e regia Fabrizio Arcuri
drammaturghi Magdalena Barile, Renato Gabrielli
dramaturg Luca Scarlini
produzione Accademia degli Artefatti 08

ONE DAY non è un evento, ma è uno spettacolo sull’evento. Dura 24 ore, non ha inizio e non ha fine. Il Rimando diretto è alla classicità della tragedia, dell’epopea, più che agli sviluppi della performance contemporanea. È una festa, un’occasione d’incontro tra spettacolo e pubblico, entrambi forzati alla reciproca - a tratti estenuante - comprensione. E’ un musical, che però si vergogna di esserlo. Nel suo intero sviluppo mescola i generi, li ri-produce, li parodia, li rifiuta. Si fonda su un continuo slittamento di piani, in una costante promiscuità fra realtà e finzione: lo spettacolo non coincide mai con se stesso (si contraddice) e si sviluppa proprio nei ribaltamenti di senso. ONE DAY si propone come un luogo e un tempo che ospitino il teatro in tempi in cui il teatro fatica a essere ospitato. È uno spettacolo sulle modalità produttive di fare spettacolo, sul senso di fare spettacolo, sul senso di non farlo. Uno spettacolo per il pubblico, sul pubblico e del pubblico.”Finalmente vivere servirà a qualcosa” è un’indicazione estetica e di lavoro. ONE DAY è uno spettacolo che porta se stesso alle estreme conseguenze, rinunciando anche all’illusione della bellezza. Uno spettacolo pornografico, contro la pornografia; una storia emozionante contro l’emozione, contro il turbamento.
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29 – 30 novembre Teatro India
LA STORIA DI RONALDO IL PAGLIACCIO DEL MC DONALD’S
di Rodrigo Garcia
regia Giorgio Barberio Corsetti
con Andrea Di Casa
produzione Fattore K.

Il pagliaccio Ronaldo, ormai noto a tutti perché mascotte dell’impero dei fast food e simbolo della tanto discussa globalizzazione, è forse il personaggio che meglio rappresenta lo spirito dell’opera dell’autore/attore argentino contemporaneo Rodrigo García. Espressione di un teatro sempre più volto al sociale e convinto del suo ruolo attivo nella formazione e nella vita dell’uomo, questo testo si allontana dalla ricerca estetica e descrive, con un linguaggio estremamente concreto e familiare, la realtà del nostro Occidente che affoga nell’abbondanza e negli eccessi. Risulta evidente la ricerca di un linguaggio critico e creativo, colloquiale, a volte volgare e scioccante, che tende a colpire e a stordire lo spettatore utilizzando la realtà quotidiana, specchio di una civiltà impazzita e irresponsabile. É un teatro decisamente fisico, in cui il testo è inscindibile dalla messa in scena, perché determinato da continui stimoli sensoriali - olfattivi e visivi - che attaccano “violentemente” lo spettatore, concedendogli di tanto in tanto anche quel po’ di ironia e di umorismo.
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