Volevo solo dormirle addosso
id.
Regia
Eugenio Cappuccio
Sceneggiatura
Massimo Lolli,
Alessandro Spinaci

Fotografia
Gian Filippo Corticelli
Montaggio
Marco Spoletini
Suono
Gaetano Carito
Interpreti
Giorgio Pasotti, Cristiana Capotondi, Eleonora Mazzoni, Carlo Freccero
Anno
2004
Durata
96'
Nazione
Italia
Genere
drammatico
Distribuzione
Mikado

Dal libro omonimo di Massimo Lolli il nostrano Eugenio Cappuccio estrae questo silenzioso, provocante, quasi pungente film, incentrato sulle relazioni di una multinazionale dei nostri giorni e i suoi personaggi.
Le dinamiche cinico tattiche di un ragazzo alle prese con la carriera mangeriale e col personale d'azienda intrecciano la sua vita privata e le sue relazioni affettive. C'è un solo obiettivo per sanare il bilancio. Un solo target. Tagliare i costi a discapito delle risorse umane. Venticinque teste da recidere. Venticinque piccoli indiani che cadranno uno dopo l'altro, per accontentare le esigenze della nuova dirigenza. Non sarà indolore. Giorgio Pasotti migliora sempre di più. Dopo la stravagante ma azzeccata versione tricolore di Buster Keaton in Dopo mezzanotte di Davide Ferrario si misura con successo e stile nello yuppie rampante alle prese con la scalata sociale. Anche Cristiana Capotondi sorprende per la buona interpretazione della ragazza patinata da "club e vernissage" della Milano "bene" di inizio millennio. Il plot è originale e la recitazione del cast sopra la media tengono insieme le fila del tutto, reggendo la storia nonostante i ritmi siano lenti e bisognosi di costante attenzione psicologica. Il film è intelligente e indaga con cura e un pizzico di noir i risvolti di un mondo, quello lavorativo, portato all'eccesso per intensità e rapporti interpersonali. "L'azienda ha bisogno della tua vita e del tuo tempo, sempre!" ringhia l'assistant manager tecno-cinese a Borghi, il Responsabile delle vendite. L'azienda vuole. Esige. Marco Pressi ha innescato il countdown dell'annientamento personale, un percorso quotidiano asettico dove niente viene approfondito o assorbito. Piaceri, rapporti, discussioni trovano nella superficialità la forma espressiva più immediata e di facile consumo.
Il titolo del film (e del libro) sottolinea l'era del sentimento fast food, condito dalla competizione e dalle amicizie di circostanza, e non è un semplice poetico alludere al romanticismo medioevale. "Ti stimo molto" è la frase chiave del giovane Dottor Pressi, un saluto preconfezionato come un cibo in scatola per chi non ha tempo. Tre parole in fila, ordinate e sintetiche, frutto della distorsione professionale e del riflesso meccanico appreso per ripetizione, per osmosi da ufficio. Il distinguo tra colleghi, amici, amanti, parenti non c'è più. Per Pressi tutto e tutti sono dipendenti di una vita ormai troppo dentro al gioco dei grandi.
Poco prima della fine, nella sala d'attesa, il figlio di Jean Claude, il Direttore Generale e Marco Pressi si trovano uno di fronte all'altro, come in uno specchio, quasi si somigliano. Il bambino sorride. Sembra che le due generazioni si sfiorino, si tocchino. Un riflesso che verrà. Come a percepire un'innocenza che si perde col tempo, un'umanità fresca e ingenua che il crescere ci atrofizza per farci adattare miseramente. Dovremmo ricordarci più spesso di essere stati bambini e farci tornare quella voglia di giocare perduta insieme al diploma delle superiori in fondo a qualche cassetto della memoria. Fare i grandi costa caro. La pellicola è quasi interamente girata in interno. Azienda, locali, case. La sensazione claustrofobica delle locations viene trasmessa anche allo spettatore che assorbe il sottotesto e si perlustra la psiche quasi senza accorgersene. Se Michelangelo Antonioni avesse l'età di Eugenio Cappuccio oggi, forse farebbe film simili a questo.
Dove la borghesia è indagata, dentro e fuori. Scandagliata come un mare oscuro pieno di interrogativi. Cappuccio analizza quasi clinicamente una classe sociale, in particolar modo quella manageriale, provando ad estirparne i demoni maligni, senza però attuare quell'esorcismo naturalistico del regista ferrarese. Si scorgono le ombre di Marcello Mastroianni de La notte, i colori densi di Deserto Rosso e le alienazioni dei film del maestro inventore del cinema moderno. Il film rappresenta quello che noi oggi siamo, la nostra società e tutti i suoi derivati controsensi.
Carriera, ambizione, straordinari. Sento nelle mie orecchie insinuarsi parole non mie, si schiantano come jet in caduta libera quelle di Giuseppe Culicchia in "Bla Bla Bla", "...fotti le nostre cucine economiche, fotti le nostre ferie programmate, fotti orari, regolamenti, stipendi, doppi servizi, bolli auto, spese condominiali, bollette del gas.andatevene via bastardi! Ingoio la luce, occhi che respirano, sono felice, lo sento. Questo è il gran finale".
Si lavora per vivere, non si vive per lavorare, ma questo Marco Pressi non riuscirà a capirlo.
[alessandro antonelli]