The Village
id.
Regia
M. Night Shyamalan
Sceneggiatura
M. Night Shyamalan
Fotografia
Roger Deakins
Montaggio
Christopher Tellefsen
Musica
James Newton Howard
Interpreti
Joaquin Phoenix, Bryce Dallas Howard, Adrien Brody,
William Hurt, Sigourney Weaver
Anno
2004
Durata
107'
Nazione
USA
Genere
thriller
Distribuzione
Buena Vista

Ogni organizzazione, dalla più piccola (famiglia) alla più estesa (uno stato), ha bisogno di una struttura con regole, leggi, tabù per codificare il comportamento dei suoi adepti e preservare la sopravvivenza del gruppo (a tal proposito si consiglia la lettura sull'argomento di Riti e simboli del potere di David I. Kertzer)
Su questo assunto il regista M. Night Shyamalan costruisce il suo ultimo lavoro The Village, in cui una comunità agreste di fine ottocento, pastori e raccoglitori convive con misteriose creature che popolano il bosco circostante.
Shyamalan descrive con poche pennellate i caratteri dei protagonisti, costruisce una tensione sottile attraverso dettagli, suoni, rumori, ombre, costruendo un terrore sottile procedendo attarverso una continua sottrazione dello sguardo. Le misteriose creature sono rappresentate attraverso l'effetto dele loro azioni (i segni lasciati sulle porte, gli animali squoiati, ecc.), piuttosto che nella loro rappresentazione diretta.
Un film che pesca a piene mani nella tradizione culturale americana, con l'esaltazione della wilderness americana (Faulkner), della natura contro la corruzione della città, che sottolinea la tendenza americana di una ritorno ad una certa spiritualità e condivisione di valori morali, su cui Bush ha costruito la sua seconda elezione presidenziale. Principi protestanti dei padri fondatori che dalla lontana Inghilterra giunsero in territorio americano con la Mayflowers, vengono qui messi in scena con un potenza visiva non banale.
[fabio melandri]

Il film, come tutti i precedenti di Shyamalan, è ben costruito, riesce a mantenere la suspense, ed è interpretato da attori in buona forma (tra questi, il redivivo William Hurt, che credo stia viaggiando alla media di un film ogni dieci anni!). Ma il merito principale del film non mi sembra risieda, come ho sentito da più parti, nel "colpo di scena finale" (che è una sorpresa solo fino ad un certo punto). La cosa più interessante mi sembra la riflessione sulle dinamiche di una piccola comunità isolata, ed in qualche modo costretta ad esserlo, un po' come succedeva nei film di Hawks (senza voler fare paragoni blasfemi, s'intende!); comunità in cui si esasperano i contrasti, le problematiche interpersonali, le piccole e grandi ipocrisie della socialità. In tempi di Grandi Fratelli, perlomeno questo "Cugino" cinematografico ha il pregio della buona fattura! Inoltre penso che evidenzi un paradosso "metalinguistico": se si vuole cercare la reazione autentica di un piccolo gruppo di persone, l'idea che un gruppo ripreso "dal vero" sia il più rappresentativo può essere illusoria, visto che c'è la consapevolezza di essere ripresi che falsa tutto. Meglio forse (e sottolineo forse) affidarsi a qualcuno che ha studiato attentamente il comportamento umano e cerca di riprodurlo con onestà intellettuale. (oddìo, l'ideale sarebbe un Truman Show collettivo, ma per fortuna è ancora illegale!). Nel complesso, continuo a pensare che il miglior film di Shyamalan resti Il sesto senso, ed il peggiore Unbreakeable (che però, per i fan della "sorpresa finale", ha un colpo di scena migliore di questo): siamo nel mezzo! [matteo lenzi]