Viaggio in India
id.
Regia
Mohsen Makhmalbaf
Sceneggiatura
Mohsen Makhmalbaf
Fotografia
Bakhshor
Montaggio
Mohsen Makhmalbaf
Suono
Jagadish K
Musica
“Sacred Chanting of Devi”
di Craig Pruess
Interpreti
Mahmoud Chokrollahi, Mahnour Shadzi, Karl Maass, Tenzin Choegyal, Bharath K. S, Savitha Iyer
Produzione
Makhmalbaf Film House, Wild Bunch
Anno
2007
Nazione
Iran
Genere
drammatico
Durata
85'
Distribuzione
Bim Distribuzione
Uscita
14-09-2007
Giudizio
Media

Prima o poi doveva succedere. Anche un mito come Makhmalbaf doveva cadere. E l’occasione è arrivata con il suo ultimo film, Viaggio in India, in originale, "Screamof the ants", letteralmente “L’urlo delle formiche” (che fa riferimento all’impossibilità della protagonista di camminare sul suolo indiano senza causare la morte delle formiche). La traduzione italiana cerca di riecheggiare il titolo forse più famoso del “maestro” iraniano, Viaggio a Kandahar, che qualche anno fa sbancò i botteghini di tutto il mondo per la concomitanza dei tragici eventi di quell’area geografica e per la risonanza internazionale della questione talebana. Ora non solo non ci sono tracce del tocco del suo autore di ma addirittura in questo Viaggio in India si stenta a riconoscere proprio la mano di Makhmalbaf. Se si pensa anche ad altri suo lavori, forse meno famosi ma decisamente più apprezzabili, come Pane e fiore e Il silenzio davvero non si riesce a capire come possa essere la stessa persona ad aver partorito questa ultima fatica.
Il viaggio del titolo è quello di un uomo e una donna iraniani alla ricerca dell’”uomo perfetto”. Lei profondamente religiosa, lui marxista convinto. Inevitabile lo scontro. Ora il problema del film è proprio la verbosità. I due, marito e moglie, non fanno altro che parlare ma interloquiscono con discorsi faticosamente plausibili, a tratti quasi disarticolati, appesantiti da lunghi primi piani senza interruzioni. Davvero fastidiose le continue prolusioni filosofiche al limite del sociologico dei coniugi immersi in un mondo tradizionalmente spiritualista come l’India, sempre fotografata però secondo i clichés insopportabili della new age da provinciali.
Makhmalbaf rivela di aver sognato da 15 anni di fare un film in India, a patto però di poterlo girare interamente in una stanza. Ecco una certa claustrofobia si respira nonostante gli ampi spazi della penisola indiana (e il “maestro” non si risparmia neppure la scena nella stanza con veli e candele) e sembra quasi di essere rinchiusi in uno spazio angusto, mentale forse, di sicuro poco coerente.
Makhmalbaf sarà riuscito pure a coronare il suo sogno ma con questo film non centra il bersaglio e commette un imperdonabile passo falso nella sua aulica carriera di regista “militante”. Che Makhmalbaf sia stato sopravvalutato? Può essere ma aspettiamo ad emettere un giudizio in tal senso, diamogli un’altra possibilità. [marco catola]