Still Life
Sanxia haoren
Regia
Jia Zhang-Ke
Sceneggiatura
Jia Zhang-Ke
Fotografia
Yu Likwai
Montaggio
Khung Jinlei
Scenografia
Liang Jingdong, Liu Qiang
Musica
Lim Gioing
Produzione
Xu Penale, Wang Tianyun, Zhu Jiong
Interpreti
Han Sanming, Zhao Tao
Anno
2006
Genere
drammatico
Nazione
Hong Kong, Cina
Durata
108'
Distribuzione
Lucky Red
Uscita
23-03-06

Il Leone d'oro alla 63° Mostra del cinema di Venezia, presentato durante la kermesse lagunare come "film a sorpresa", è un dramma naturalistico-sentimentale, critico sulla necessità di smantellare e sommergere intere città per costruire centrali idroelettriche (torna tristemente alla memoria il disastro del Vajont del 1963, narrato con acume intellettuale e lucida fermezza dal nostro Marco Paolini). In Cina é il caso dell'antica città di Fengjie e del progetto idrico Three Gorges voluto dal governo.
Si comincia con un bellissimo piano sequenza che indaga i volti dei passeggeri di una nave diretta a Fengjie. La città vecchia è già sommersa dall'acqua e il nuovo quartiere non è stato ancora terminato. Tra quei volti c'è quello del minatore Han Sanming che va a cercare sua moglie e sua figlia. Quando incontra la donna decidono di tornare insieme. Shen Hong invece, un'infermiera, si reca a Fengjie per cercare il marito scappato. Si incontrano, danzano insieme e decidono di separarsi per sempre.
Sono due episodi che si contrappongono: nel primo c'è uno stato di malessere che avrà un epilogo positivo, il divorzio familiare invece è metafora del divorzio dell'essere umano sia dalla natura (la diga "innaturale" ) che dalla sua storia (la città vecchia sommersa).
Da questi due punti chiave partono tutte le considerazioni: quella di Fengjie è la più grande diga mai realizzata in Cina e nel 2009 diventerà la più grande industria elettrica al mondo. E' questo il comunismo? E' questa la sua morale? Il luogo spettrale, il paese abbandonato, non ha più niente di naturale. Il regista ci fa intendere come la diga abbia la forza di influenzare le vite umane. L'uomo abbatte i muri che egli stesso si è costruito.
Ciò che domina tutta la pellicola è un'idea di spaesamento, l'uomo moderno è ancora così piccolo rispetto alle gole profonde che la forza dell'acqua disegna. E poi il regime si giustifica col turismo, volto a sminuire gli sconvolgimenti architettonici e paesaggistici arreccati dalla mano del governo.
Si sviluppa altresì una sorta di malessere architettonico che invade gli spazi e il carattere dei protagonisti. Ma Jia Zhang-Ke, a tratti, sottolinea - attraverso lucide e coerenti inquadrature della macchina da presa - come la natura, qui a prima vista utilizzata come contorno estetico alla storia, è dominante e non andrebbe oltremodo stimolata o sconvolta.
Durante il film vengono sottolineati con una sovrascrittura quattro momenti coincidenti con quattro piccoli vizi umani: sigarette, liquore, tè, caramelle ("toffee"). Un antidoto, ci suggerisce forse il regista, contro i grandi vizi del potere, dell'arricchimento, del cinismo.
La scena più visionaria e poetica, il tocco d'autore, è verso la conclusione della pellicola: si vede un palazzo nel mezzo al verde, un ecomostro futurista, una brutta struttura postmoderna attorno alla quale i bambini (la purezza) giocano attorno, che ad un certo punto decolla verso il cielo come uno shuttle.
Still life, Natura morta, è il paese abbandonato. Come ha affermato il regista "La natura morta rappresenta una realtà che abbiamo trascurato. Sebbene il tempo abbia lasciato tracce profonde in essa, resta sempre in silenzio e conserva i segreti della vita".
Ottime le prove dei due attori: lui è un vero minatore, lei una grandissima ballerina cinese, entrambi attori fedeli di Jia Zhang-Ke). Film intenso, lento e godibile, socialmente "necessario".
[simone pacini]



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