Sideways
id.
Regia
Alexander Payne
Sceneggiatura
Jim Taylor, Alexander Payne
Fotografia
Phedon Papamichael
Montaggio
Kevin Tent
Musica
Rolfe Kent
Interpreti
Paul Giamatti, Sandra Oh, Virginia Madsen, Thomas Haden Church
Anno
2004
Durata
123'
Nazione
USA
Genere
commedia
Distribuzione
20th Century Fox

Dopo A proposito di Schmidt con Jack Nicholson, Alexander Payne torna con questo tragicomico Sideways ispirandosi al libro omonimo di Rex Pickett. Il film, già evento negli Stati Uniti e nel resto d’Europa in questo inizio 2005, può vantarsi attualmente di cinque candidature agli Oscar, quattro al Premio Sindacato Attori, compresi i premi della critica statunitense e il Sag Award per il miglior cast. Credo possa bastare come biglietto da visita per il quarto lavoro serio del quarantaquattrenne regista del Nebraska ma di origini greche. Sideways è prima di tutto un film di contemplazione. I due personaggi principali (Miles e Jack) attraversano le colline del vino intorno a Los Angeles, dove il microclima è arrivato a produrre vini di fattura superlativa, pari a quelli della Toscana. Il paesaggio è sicuramente coprotagonista, facendo da sfondo a questa storia originale e mai banale, con i suoi campi di viti a perdita d’occhio, le campagne verdi e piene di sole e una fotografia che incornicia angoli di mondo come acquerelli, spesso sconosciuti, di un’America consumistica e teledipendente. Sembra di essere nel Chianti e sentirsi vicini a Siena, invece siamo altrove. Il vino è il cordone ombelicale di tutta la pellicola;è lui che dà i tempi e li scandisce e rilascia la filosofia di Payne. E’ il sacerdote custode del passato e del futuro, dalla coltivazione, all’invecchiamento, dall’imbottigliamento all’ossigenazione e ai sorsi di voluttà. La trama non è melensa, ne patetica; il film è una piacevole sorpresa, risultando mai stanco o annebbiato. Si lascia vedere senza fretta con spunti comici e malinconici ad intreccio intermittente, dove la trama disegna volteggi o sedute e la caratterizzazione dei personaggi regge fino in fondo in modo eccellente. Gli eventi che via via si succedono sono lucidi e desiderosi di attenzione, toccando molti stati d’animo e trattandoli con somma cura e intelligenza. Payne adora il road movie e si vede. Usa il viaggio come specchio dell’anima, come ricognizione sulla psiche sorvolando sconfitte, crisi e delusioni di mezz’età. Ma c’è anche il posto, soprattutto, per le piccole gioie, quelle intense che genera l’amicizia o un amore fugace, un bicchiere di vino o una notte di sesso passionale. In questo le analogie con Gabriele Salvatores sono centinaia, compreso il plot da vecchia commedia all’italiana che ha sedotto i due registi. Il film a tratti è di una poesia vivace e intensa, come i testi e la sceneggiatura brillanti e realistici e spesso si ride di gusto. “Vivo alla bottiglia” recita Mails durante una cena a casa di Stephanie, non nel senso etilico della frase con alto rischio di cirrosi epatica, ma nel gergo più sincero. Come a suggerire di non programmare troppo, ad arrivare sulle cose anche all’ultimo momento, vivendo giorno per giorno, emozione per emozione, bottiglia dopo bottiglia. Lasciandosi cullare dalle onde degli accadimenti per il mero gusto della sorpresa, come questa vita, come a decantarne le caratteristiche organolettiche e sentirne il profumo solo dopo aver tolto il sughero. Il film cala forse un poco sui tre quarti di pellicola, dove esce la vena più comico-americana della storia e la trama cerca verve proprio dove forse ne aveva più bisogno, in modo forzato e sbrigativo, ma l’opera d’insieme resta comunque un piccolo capolavoro. Il fatto che in fondo non ci sia un vero e proprio happy ending e nessuno dei personaggi sia redento a vita (continuando quindi ad avere pregi e difetti di una settimana prima) non è poco, se confrontato con le innumerevoli pellicole di genere in somiglianza, spesso stucchevoli e scontate. Consigliato agli amanti del vino e della buona e sana commedia, augurandomi che il film dia il divertimento di una domenica eno-gastronomica all’insegna del gusto, l’ebbrezza di una bella bottiglia di rosso durante un pasto abbondante, condivisa con amici e amanti tra risate e malinconia. E visto che, come dice Omar Pedrini, “è bello fare insieme le cose vere, ridere, mangiare e rubare il giorno alla città…” (Fresco, Timoria), appena smetto di scrivere questa recensione faccio un giro di telefonate e chiamo un po’ di gente, è quasi ora di pranzo e ho da parte un Barbera d’annata. Vi faccio sapere. Intanto stay tuned. [Alessandro Antonelli]

Basato sull’omonimo romanzo di Rex Pickett, Sideways è un road movie, dalla fotografia calda ed avvolgente del sole della California e dal gusto fruttato delle vigne che ne ricoprono le colline. Un viaggio di due amici attraverso la Santa Ynez Valley, la valle del Chianti californiana, che li porterà a confrontarsi nel mezzo del cammino della loro vita con i propri sogni, aspirazioni e fallimenti.
Miles, aspirante romanziere, divorziato, clinicamente depresso ed appassionato di vino è caratterialmente come un Pinot – vino complesso, strutturato, molto difficile da produrre (“E’ una vigna dura da coltivare. E’ molto sensibile, delicata. Non è una vecchia pellaccia come il Cabernet, che può crescere dappertutto e dà ottime uve anche se trascurata. Il Pinot richiede cure e attenzioni costanti.”); Jack, attore di secondo piano e prossimo la matrimonio, preferisce invece il Cabernet, vino più semplice e di più largo consumo dal gusto ricco e fruttato (“Ci sono cose che devo fare, che tu non puoi capire. Tu capisci i vini, la letteratura, i film... ma non capisci il mio destino”).
Un road movie di parola, sostenuto da una ferrea e calibrata sceneggiatura ricca di sfumature comiche e melanconiche, scritta da Jim Taylor e Alexander Payne, quest’ultimo anche regista capace di dirigere con tocco leggero ma deciso sia grandi star come Jack Nicholson nel suo precedente A Proposito di Schmidt, che talentuosi caratteristi come Paul Giamatti, capace di rendere credibile un uomo così complesso e tormentato da un passato a cui tenta inesorabilmente di rimanere attaccato come Miles e rivelazioni come Thomas Haden Church, una sorta di Arnold Schwarzenegger ma dal viso più simpatico, che interpreta con scanzonata e divertita ironia Jack, uno sbruffone a tratti arrogante e superficiale ma dotato di una contagiosa ed infantile spinta ottimistica verso il futuro. Completano il cast la sfiorita ma bellissima Virginia Madsen, e la sensuale e vitale Sandra Oh, in piccoli ruoli ma funzionali e fondamentali per la progressione ed evoluzione degli eventi.
[fabio melandri]