Mare nero
id.
Regia
Roberta Torre
Sceneggiatura
Roberta Torre, Heidrun Schleef
Fotografia
Daniele Ciprì
Montaggio
Jacopo Quadri
Musica
Shigeru Umebayashi
Interpreti
Luigi Lo Cascio, Anna Mouglalis, Maurizio Donadoni, Andrea Klara Osvart, Massimo Popolizio, Monica Salassa, Rossella d’Andrea
Anno
2006
Durata
83'
Nazione
Italia
Genere
thriller
Distribuzione
01 Distrtibution

Roberta Torre, regista milanese, abbandonati i toni leggeri, le atmosfere gioiose, i colori pastello di Tano da Morire e Sud Side Stori, si immerge nelle oscure e profonde ombre di Mare Nero, quarta fatica dopo Angela (2002) e presentato in concorso all’ultimo Festival di Locarno.
Un secondo capitolo di quel romanzo volto alla ri-fondazione del genere thriller/noir dopo il recente La cura del Gorilla di Carlo A. Sigon con Claudio Bisio.
Luca, un Luigi Lo Cascio stralunato ed fuori parte come solo in Occhi di cristallo avevamo avuto modo di “ammirare”, è un giovane commissario di polizia coinvolto nel caso di omicidio di una giovane studentessa universitaria, assidua frequentatrice di locali di scambisti. Ed è in questo ambiente che Luca intuisce si sia sviluppato l’assassinio.
Come Clint Eastwood in Corda tesa, inizia per il detective un viaggio di discesa negli inferi dell’animo umano, entrando a far parte e rimanendo invischiato come un insetto nella ragnatela in un mondo costruito artificiosamente su ossessioni, perversioni, paure, desideri. Elementi che finiscono inesorabilmente per permeare la sua stessa vita privata, minando il fragile rapporto con Veronica (Anna Mouglalis), la fidanzata agente immobiliare, da poco trasferitasi da Parigi per amore.
Ma se Corda tesa aveva l'umiltà di mantenersi sul registro di film di genere attento alla definizione dei personaggi ed alla cura dei particolari narrativi, Mare nero ha la presuntuosità di viaggiare su due registri che continuamente si alternano l'uno con l'altro finendo per generare una illogicità di racconto, una incongruenza di rappresentazione, uno spaesamento recitativo che se ti chiami David Lynch riesci a maneggiare, controllare, giocare, ma che nel nostro caso genera stordimento ed incongruenze continue, avvallate da una recitazione catatonica e monocorde da parte dell'intero cast.

La regia della Torre, più attenta all’estetica patinata e fine a se stessa dell’immagine che non a pensieri, parole ed emozioni, porta la pellicola a trascinarsi per 83 noiosissimi minuti suscitando ilarità tra gli spettatori con dialoghi e situazioni ai confini di ogni verosimiglianza possibile.
[fabio melandri]