Maradona La mano de D10s
id.
Regia
Marco Risi
Sceneggiatura
Manuel Valliva, César Vidal, Manuel Rìos
Fotografia
Marco Onorato
Montaggio
Patrizio Marone
Scenografia
Graciela Coca Oderigo, Carlo De Marino
Costumi
Ruth Fishermann,
Daniela Ciancio
Musica
Pivio e Aldo De Scalzi
Produzione

Comedy Film, Ombu Producciones

Interpreti
Marco Leonardi, Julieta Diaz, Juan Leyrado, Pietro Taricone, Eliana Gonzalez, Norma Argentina, Roly Serrano, Gonzalo Alarcon, Abel Ayala
Anno
2007
Genere
drammatico
Nazione
Italia, Spagna
Durata
113'
Distribuzione
01 Distribution
Uscita
30-03-07

Maradona nasce a Lanus, precisamente a Fiorito, quartiere povero nei dintorni di Buenos Aires, nel 1960. A circa nove anni è già un talento di periferia e fa notizia. Un giornalista della TV locale si reca al campetto e gli chiede: “Diego quali sono i tuoi due più grandi desideri?” – senza indugi risponde “Giocare il mondiale con la maglia della Nazionale Argentina”. Fermandosi solo al primo dei desideri il cronista incalza “…e il secondo?” - “Vincerlo!”.
Diego Armando Maradona nell’afoso Luglio del 1986, quasi diciassette anni dopo quell’intervista, a Città del Messico alza la Coppa del Mondo vestendo la maglia che ha sempre sognato e diventando all’unanimità il più grande calciatore di tutti i tempi. Detto questo, tutto il resto è relativo. Potremmo parlare delle sue drammatiche sventure legate alla droga o di recente all’alcol, delle sue scappatelle extraconiugali e del suo essere sempre eccessivo. La storia di Diego Maradona, come calciatore, va oltre tutto questo, oltre le dicerie benpensanti, oltre il giornalismo di bassa lega, al di là della vita terrena che lo relega in un corpo oramai bistrattato da diete e precarietà quotidiane.
Marco Risi torna alla regia (dopo “Tre mogli” del 2001) con un film apparentemente facile, vista la popolarità dell’icona da rappresentare, raccontando la figura dell’asso argentino attraverso la lente della vita al di qua del terreno di gioco, ricreando spaccati di vita vissuta tra mura domestiche, feste e alberghi e lasciando le vere immagini delle azioni e dei gol che tutti conosciamo (perchè viste in tv) a fungere da catalizzatore, dando loro il compito di agire da anello di congiunzione tra le varie scene ed i periodi di ascesa/discesa dell’astro argentino. Scelta di valutazione questa senza dubbio sensata e coerente visto l’obiettivo prefissosi dal regista milanese. La popolarità di Maradona e i tanti aneddoti “rosa” avrebbero potuto fare di questo lungometraggio un qualcosa di scontato o di costume col rischio di strizzare l’occhio al pubblico, accontentando banali richieste comuni. Prendendo tutti in controtempo invece Risi gioca la carta dell’intimismo, si appoggia sui legami familiari, sull’altra faccia del successo. Il Maradona che ne ricaviamo è un uomo fragile, ingenuo e a volte presuntuoso, che lo fa tornare coi piedi per terra senza pallone. Il Diego di Risi deve fare i conti con la vita, oltre che con il calcio, ed è qui che fa corto circuito.
La Bombonera (lo stadio dell’amato Boca Junior) si accende di colpo in una notte scura. Un bambino a centrocampo vede steso sull’erba un uomo sovrappeso, affannoso e impaurito. Quelle due figure si guardano, timorose. Sono la stessa persona.
Maradona è sempre stato un capitano coraggioso, altruista, schierato spesso dalla parte dei compagni contro la società di turno, cosciente di impegni e doveri, morali e sportivi, mettendo sempre la sua faccia davanti a tutto. In campo non si risparmiava mai, correva anche per un compagno a corto di fiato, lo gratificava quando era giusto farlo.
La premura e la dedizione per i genitori, i fratelli e gli amici che il film esalta è la stessa con la quale Diego proteggeva i compagni di squadra. Non si atteggiava da prima donna, anzi, consapevole del proprio valore si prendeva le sue responsabilità nei confronti di tutti. Maradona non ha poco più di sedici anni, parla col padre, “Papà voglio che tu smetta di lavorare, voglio che ti riposi” – “Perchè?” chiede l’altro al tramonto sulle dune “Perchè sono tanti anni che lavori, e adesso posso mantenervi tutti”,.
Il film è incastonato in una cornice che sa di passato, si apre e si chiude con Maradona bambino, tra i calcinacci di Fiorito. Un inno allo spirito puro e semplice del campione di Baires che la vita mondana ha forse sciupato senza rispetto con le sue tentazioni, rendendo omaggio al gioco del calcio per quello che è senza l’influenza di sponsor e ingaggi milionari: un divertimento lungo una vita.
Dalle giovanili dell’Argentinos Junior, passando per il Boca, fino all’arrivo del primo grande contratto: il Barcellona. E’ qui che comincia per Diego il periodo della perdizione, tra “notti brave” sulle Ramblas, cocaina e donne viziose. Diego capisce di ottenere ciò che vuole e sarà questo il suo limite, almeno fuori dal campo: diventa nervoso, dilapida tutti i suoi averi, segue una vita sregolata e piena di eccessi. Sarà il duro intervento da dietro di Goikoetxea nella partita con l’Athletic Bilbao a rompere i sogni all’asso argentino fratturandogli la caviglia e mettendolo sul punto di andarsene. Il passo successivo è al sole di Napoli, il periodo più intenso della vita di Maradona nel bene e nel male (il suo nome viene anche accostato ingenuamente a qualche famiglia della camorra, come il film lascia intendere, Pietro Taricone è appunto un piccolo boss della zona). Ma è la gente, finalmente, che festeggia, a Napoli. Dopo anni di delusioni sportive e sociali, dopo la ghettizzazione a livello economico, l’esclusione dai traffici commerciali del centro-nord e a dispetto di quel calcio settentrionale spesso snob e autoreferenziale, arriva un uomo visto come un salvatore. Napoli, con Maradona, diventa il centro del calcio Mondiale. Marco Risi per fotografare questo momento storico mette insieme un montaggio di video, azioni e gol del Pibe de Oro con la maglia partenopea al ritmo de “Je so pazz’” di Pino Daniele. Il prezzo del biglietto è pareggiato. L’emozione che si prova nel rivedere quei gesti tecnici e quelle perle di meraviglioso calcio a suon di musica è travolgente.
Il taglio che Risi sceglie per realizzare questo film ricorda la struttura dello sceneggiato italiano, il film ha una veste da melodramma di fine anni ’90 ma non è mai pesante ne noioso, la consequenzialità storica alternata ai gol e agli eventi è regolare, è piacevole e si lascia guardare. La recitazione del redivo Marco Leonardi tuttavia non è tra le migliori, nonostante la somiglianza di conformazione fisica ci possa stare, l’attore italo-australiano non è naturale come dovrebbe, appare un po’ forzato negli atteggiamenti e nelle movenze (è giusto ricordare inoltre che il film è interamente in castellano e doppiato in italiano, trattandosi di una co-produzione italo-spagnola.
La più grande caratteristica di Maradona rimane l’istinto e il Mondiale di Calcio del 1986 in Messico rende omaggio a questa peculiarità come nessun altro evento ha mai fatto. Nella semifinale contro gli odiati inglesi (dovuto alle ruggini per la questione delle isole Folkland) oltre a segnare il famoso vantaggio con la mano de Dios appunto (che da il titolo al film) il genio argentino compie un capolavoro, definito dalla FIFA dopo svariati sondaggi, il gol più bello della storia del calcio: è circa la metà della ripresa, Maradona riceve palla sulla propria trequarti campo e, a detta dello stesso, gli tornano in mente le parole del fratello minore: “Diego, com’è che non fai più quei gol incredibili che facevi da ragazzo, scartando tutti ed entrando in porta col pallone?!”. Ci sono circa 80 metri all’altra porta, Maradona inizia il suo affondo eludendo ben sei avversari, portiere compreso toccando la palla undici volte. In quella corsa verso la rete Maradona torna bambino, il film di Risi lo capisce e asseconda la sequenza. Il pallone trai piedi, la voglia di divertirsi senza pensieri, cocaina, soldi o doveri. Quel gol è ascritto alla vera essenza di questo sport, per la sua purezza e il suo alto valore mistico. Perchè il calcio è molto di più di uno sport, è una magia.
Maradona nel 1994, anno dei Mondiali negli Stati Uniti, è fuori dal giro della nazionale dopo la squalifica del 1991 che lo vede risultare positivo all’antidoping (cocaina), ma vi rientra a furor di popolo e per una frase della figlia “Papà io non ti ho mai visto giocare un mondiale!”. Perde 15 chili in poco tempo, si allena, torna a sudare. Il gol che realizza, capolavoro di gioco di squadra contro la Grecia, è ricordato più per la sua espressione furiosa verso la telecamera che non per la bellezza di quel sinistro nel sette. Maradona verrà trovato nuovamente positivo (stavolta all’efedrina) per cause a lui non imputabili. E’ la fine. Il film mostra da questo punto in poi la decadenza di un uomo e di uno sportivo sempre sulla bocca di tutti, circondato da falsi amici e da troppi soldi.
Alcune figure e alcune vicende nel film sono state poi inserite per aumentare il livello drammaturgico senza che nella realtà mai siano apparsi o verificati (Claudia non tornerà infatti dai genitori in Argentina dopo una rottura con Maradona) ma l’essenza del personaggio “Diego” c’è e si sente, e chi ha seguito le sue gesta fin dai primi passi non avrà difficoltà a metabolizzarla. Una pellicola sicuramente molto ostica invece per chi Maradona lo conosca solo per le sue vicende extra calcistiche e i suoi gossip, non troverà niente per cui essere soddisfatti dalla proiezione. Un film per molti, ma non per tutti quindi. Si potrebbero scrivere decine di libri sulla sua vita, sul suo essere uomo e calciatore.
Sul comportamento del più grande numero dieci mai esistito si potrebbero scrivere decine di libri e saggi, raccontare aneddoti e mimare centinaia di gol, e forse non basterebbero. Una cosa sembra però trovare verità senza obiezioni e punti di vista, quando Diego varcava la linea laterale che divide il rettangolo di gioco dalla vita di tutti i giorni, si trasformava nella più limpida e leale espressione di questo sport e ritrovava l’unico amico che non lo ha mai tradito e col quale ha diviso gioie e dolori, l’unica cosa degna di rischiare la propria vita: il pallone. [alessandro antonelli]