Le colline hanno gli occhi
The Hills Have Eyes
Regia
Alexandre Aja
Sceneggiatura
Alexandre Aja,
Gregory Levasseur
Fotografia
Maxime Alexandre
Montaggio
Baxter
Musica
Tomandandy
Interpreti
Aaron Stanford, Kathleen Quinlan, Vinessa Shaw, Emilie De Ravin, Dan Byrd, Tom Bower, Billy Drago, Robert Joy, Ted Levine, Laura Ortiz
Anno
2005
Durata
104'
Nazione
USA
Genere
horror
Distribuzione
Fox Searchlight Pictures

Quando Wes Craven, tranquillo professore di filosofia di Cleveland, girò nel 1977 Le colline hanno gli occhi, il nuovo cinema horror americano stava nutrendo le sue radici di viscere e sangue, ispirandosi a storici serial killer per la parte narrativa e traendo spunto ed ispirazione dalle recenti immagini degli orrori del Vietnam riguardo all’estetica. Le colline hanno gli occhi traeva spunto da un leggendario serial killer scozzese vissuto nel diciassettesimo secolo che assaliva i viaggiatori su strade deserte di campagna, uccidendoli in maniera atroce e cibandosi dei loro resti. Craven traspose le vicende nell’America contemporanea puntando la sua lente rosso sangue su una delle istituzioni della società americana: la famiglia. Se nel suo primo e precedente lavoro L’ultima casa a sinistra aveva analizzato i meccanismi di autodifesa del nucleo familiare una volta attaccato dall’esterno, in questa seconda opera metteva di fronte una contro l’altra due nuclei familiari similari ma contrapposti, come in uno specchio che riflette l’animo oscuro e degenere dell’istituto familiare.
A distanza di quasi trent’anni da quello che rimane uno dei meno riusciti film di Craven, Alexandre Aja, giovane cineasta europeo che si è rivelato un paio di anni fa con uno slasher movie ad alto impatto emotivo come Alta tensione, riprende la medesima materia narrativa per riproporla in un remake patrocinato dallo stesso Craven che compare come produttore esecutivo. Sostenuto dagli amici Gregory Levasseur alla sceneggiatura e Maxime Alexandre alla fotografia, Aja riprende la medesima materia narrativa aggiornandola ai tempi nostri, e puntando più che sul confronto tra famiglia normale e degenere dell’originale craveniano, sul conflitto, anch’esso basico e fondante la cultura americana, tra uomo e natura. Una natura ostile che l’uomo con la sua opera mira a rendere ancora più nefasta e distruttrice. La famiglia Carter, composta dal burbero detective in pensione Big Bob (Ted Levine), dalla loquace moglie Ethel (Kathleen Quinlan) e dai figli Lynn (Vanessa Shaw) insieme al pacioso marito Doug (Aaron Stanford), Bobby (Dan Byrd) e Brenda (Emilie De Ravin), attraversano il deserto californiano con la loro roulotte Airstream. Ma durante una deviazione di percorso subiscono un rocambolesco incidente che li costringe ad una inattesa fermata in mezzo al nulla. L’ambiente si mostra subito inospitale e minaccioso, diventando come in un’altra opera similare, Wolf Creek, protagonista assoluto dell’opera. In tutta la prima parte dell’opera il regista costruisce una tensione latente e nello stesso tempo opprimente di un ambiente costituito prevalentemente di rocce frastagliate attraverso un uso emotivo della macchina cinema: dettagli visivi, movimenti di macchina a ricreare false (?) soggettive, suoni e colori accecanti. Un insieme di elementi che puntano da una parte a definire in maniera grossolana ma funzionale i caratteri dei personaggi in gioco, dall’altra a creare una sorta di sospensione della narrazione simile alla quiete che precede la tempesta. Tempesta che tarda ad arrivare, ma quando si scatena produce effetti devastanti. Se nel precedente Alta tensione Aja giocava con semplicità premendo a fondo sin dall’inizio il pedale dell’acceleratore, qui dimostra una inattesa maturità ed un equilibrio nella gestione degli elementi narrativi ed emotivi che potrebbe farci gridare alla nascita di un nuovo autore del cinema di paura. L’accumulo di tensione, rabbia violenza inespressa della prima parte, esplode nel lungo finale, quando i confini tra giusto e sbagliato, vita e morte sono oramai pallidi ricordi. Ma si tratta di una violenza quasi a sublimare un senso di colpa incancellabile, un peccato originale di sangue e morte che resta indelebile sulla coscienza della società americana e non solo. Non importa più cosa è giusto e cosa è sbagliato, l’importante è sopravvivere alle proprie colpe come a quelle dell’istituto sociale a cui volenti o nolenti apparteniamo.
[fabio melandri]



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