Doppia ipotesi per un delitto
Slow Burn
Regia
Wayne Beach
Sceneggiatura
Wayne Beach
Fotografia
Wally Pfister
Montaggio
Kristina Boden
Scenografia
Tim Galvin
Musica
Jeff Rona
Produzione
GreenStreet Films, Sidney Kimmel Entertainment,
Bonnie Timmermann Productions, Longfellow Pictures
Interpreti
Ray Liotta, L.L. Cool J, Mekhi Phifer, Jolene Blalock, Guy Torry,
Taye Diggs, Chitewel Ejiofor, Bruce McGill
Anno
2005
Genere
thriller
Nazione
USA
Durata
93'
Distribuzione
Eagle Pictures
Uscita
04-05-07

Metamorfosi. Questo il concetto/manifesto sul quale è imperniato il debutto cinematografico di Wayne Beach, autore-della-storia/sceneggiatore/regista e precedentemente autore dello script di due non disprezzabili thriller come L’arte della guerra ed Omicidio alla Casa Bianca con Wesley Snipes.
Metamorfosi di una città che passa tra la demolizione di vecchie aree sub-urbane ad edificazioni di nuovi quartieri residenziali attraverso soliti giochi di potere tra politici rampanti e gangster senza scrupoli. Metamorfosi di una donna, che come un cristallo scompone nei suoi componenti la luce bianche per apparire come riflesso di un solo di questi componenti. La donna in questione trattansi dell’assistente del procuratore distrettuale in carriera e pronto a candidarsi alla poltrona di Sindaco, Ray Liotta. Lei è la debuttante sul grande schermo Jolene Blalock.
La metamorfosi della città che passa attraverso la metamorfosi della donna, si realizzerà attraverso una scia di sangue che culminerà in un misterioso appuntamento alle 5 della mattina. Ispirandosi platealmente ad I soliti sospetti di cui sembra una involontaria parodia nel cercare di superarlo elevando a numeri esponenziali incontrollabili situazioni, capovolgimenti di fronti e finali, Doppia ipotesi per un delitto giunge sui nostri schermi, ma non solo, a ben quattro anni di distanza dalle sue effettive riprese. Particolare questo che fa sembrare il film un giovane-vecchio. Per la sua messa in scena timida ed impacciata, per la presenza di scene di raccordo ed esemplificazione tanto inutili quanto ripetitive, per dialoghi ai limiti della decenza logica e per un cast che da la sensazione di credere a poco nell’operazione, in primis un invecchiato ed imbolsito Ray Liotta, anche produttore esecutivo, calato negli scomodi panni di un apparentemente spietato procuratore distrettuale che però finisce per essere letteralmente preso in giro da qualsiasi comparsa gli capiti a tiro.
Un film incentrato sul gioco meccanico, furbetto e confusionario dell’io-non-so/che-tu-non-sai/che-io-non-so in cui neanche il più acuto spettatore riesce a raccapezzarsi, travolto dai tre, quattro, forse cinque – confesso di aver perduto il conto – pre-finali, finali e contro-finali che si susseguono in maniera incalzante negli ultimi 15 minuti di proiezione. Un gioco al massacro di logica, coerenza e verosimiglianza di cui rimane vittima lo stesso autore-della-storia/sceneggiatore/regista Wayne Beach che altresì aveva dichiarato: “Morivo dalla voglia di scrivere un film che io stesso avrei voluto vedere. Moltissimi film hanno la stessa identica formula e sono prevedibili. Io amo i misteri che sono elaborati e funzionano in un certo numero di livelli.” Quando il troppo, stroppia… [fabio melandri]