Daratt
id.
Regia
Mahamat-Saleh Haroun
Sceneggiatura
Mahamat-Saleh Haroun,
Laora Bardos
Fotografia
Abraham Haile Biru
Montaggio
Marie-Hélène Dozo
Suono
Dana Farzanehpour,
Fred Meert
Costumi
Fatimé Lamina,
Valérie Wadar
Musica
Wasis Diop
Produzione
Chinguitty Films
Interpreti
Ali Bacha Barkaï, Youssouf Djaoro, Hisseine Aziza,
Djibril Ibrahim, Fatimé Hadje, Khayar Oumar Defallah
Anno
2006
Genere
drammatico
Nazione
Francia, Belgio, Chad
Durata
96'
Distribuzione
Lucky Red
Uscita
01-06-07

In Ciad la guerra civile ha seminato morte e distruzione. Ma la cosa peggiore è che i veri responsabili, chi ha ucciso, stuprato, rubato è ancora libero in mezzo alla gente comune. Le vittime di ieri sono i diseredati di oggi. I carnefici di ieri sono le persone di potere di oggi. Non c’è stata giustizia. E forse l’unico modo per ottenerla è prendersela da soli. Atim ha 16 anni. E’ orfano. La guerra gli ha portato via tutto. Spinto dal nonno, l’unico rimasto in vita della sua famiglia, decide di vendicare la morte del padre, assassinato qualche anno prima. Conosce l’identità dell’assassino, si chiama Nassara ed è un criminale di guerra. Pistola alla mano, decide di raggiungerlo nel villaggio in cui vive. Oggi si è ricostruito una vita: fa il panettiere, ha una moglie e una ferita alla gola gli impedisce di parlare. Atim riesce a farsi assumere come garzone ed entra nelle sue grazie. Riesce ad avvicinarsi sempre di più al suo obiettivo ma tra i due si instaura uno strano rapporto: Atim ritrova in lui la figura paterna che gli è sempre mancata, Nassara lo vede come un figlio e lo vuole adottare. La sete di vendetta sembra placarsi ma di fronte alla giustizia non ci si può e non ci si deve fermare…
Daratt non è un film sulla guerra ma su tutto quello che ne segue. Rovine, crimini impuniti, ingiustizia, povertà. Si può continuare a vivere fianco a fianco con le stesse persone che hanno sterminato la tua gente come se niente fosse? Com’è possibile restare impassibili di fronte all’impunità? Ci si deve rassegnare o si ha il diritto/dovere di farsi giustizia da soli? In Ciad, come in altri Paesi del mondo, alla fine della guerra c’è stata un’assoluzione di tutti i crimini. Ogni atrocità è stata legittimata. Non c’è quiete dopo la tempesta. E se c’è è solo apparente. Il fuoco arde sotto le ceneri. Pronto a riemergere inaspettato e pericoloso. Ma sono più di 40.000 le persone morte o scomparse. Non c’è chiarezza. Daratt
vuole fare chiarezza, vuole solo raccontare tutto questo, attraverso l’ambiguità degli affetti, l’immoralità dell’amore, il paradosso della vita. Vittima e carnefice si incontrano per una resa dei conti. Ma chi è davvero l’uno e chi l’altra? I due vivono come in una sospensione spazio-temporale: Atim vuole vendicarsi ma ancora di più vuole un padre, Nassara vuole un figlio (la moglie incinta ha avuto un aborto spontaneo). L’attesa della vendetta si confonde con l’aspirazione dei sensi. Una situazione paradossale che finisce per essere altrettanto reale. La congiunzione di due solitudini in un mondo senza pietà. Che ricorda in senso inverso la situazione sospesa di Il figlio dei fratelli Dardenne. Sublimandone il significato. Qui tra i due si intravede all’orizzonte uno spiraglio di luce. Come a dire che si può andare oltre la sofferenza, l’odio e la vendetta. E spingersi fino alla convivenza. Con connotati impensabili, nuovi, ultramoderni. Chissà… Il cinema a volte serve anche a questo. A dare una speranza. Tocca poi a noi coglierla nel modo opportuno.
[marco catola]