H20dio

 
Regia
Alex Infascelli
Sceneggiatura
Alex Infascelli,
Vincent Villani
Montaggio
Consuelo Catucci
Fotografia
Arnaldo Catinari
Scenografie
Eugenia Di Napoli
Musica
Steve Von Till
Costumi
Annapaola Brancia d’Apricena
Effetti speciali
Sergio Stivaletti
Interpreti

Chiara Conti, Mandala Tayde, Anapola Mushkadiz, Olga Shuvalova,
Claire Falconer, Carolina Crescentini, Mauro Coruzzi

Anno
2006
Durata
90'
Nazione
Italia
Genere
horror
Distribuzione
52srl
Il terzo film di Alex Infascelli rimarrà alla storia del cinema italiano forse più per il metodo di distribuzione che per l’opera in se. Il regista romano, in accordo con il Gruppo Espresso e La Repubblica, non fa esordire nelle sale il suo lungometraggio come sempre è stato da quando esiste il cinema, ma sceglie un luogo onnivoro, uno spazio mediatico versatile e al passo coi consumi: l’edicola.
Direttamente in DVD (al costo di 15,90 euro) senza passare per il grande schermo, H2Odio è il primo esempio di canale alternativo primario. Alex Infascelli, considerato il poco entusiasmo del sistema italiano del cinema a promuovere e rendere visibili i prodotti minori o più coraggiosi, deluso dal poter vedere il suo film in dieci sale in tutta Italia e magari per cinque giorni appena di programmazione, sceglie la vendita diretta in un discount, uno store. La scelta è originale e coraggiosa, al passo coi tempi, e figlia di un’analisi di mercato che registra vendite dei supporti DVD sempre maggiori a discapito della mono-visione da sala. La proposta è valida, intelligente e curiosa e sicuramente aprirà la strada ad altre opere simili o di equivalente spessore artistico o culturale. I costi di gestione e produzione per un canale simile sono minori, permettendo la vita a molti piccoli lavori e mantenendo il livello qualitativo sempre più alto nonostante un diverso uso della promozione e vendita. Ognuno ne tragga le proprie opinioni e conseguenze, considerando che DVD in vendita in edicola e film in sala possono comunque convivere e darci più scelta.

Passiamo al film. Il terzo lavoro di Alex Infascelli è un’esperienza sensoriale, visiva ed emotiva. La storia vede cinque ragazze muoversi su di una barca verso un’isola verde e deserta, dove in una casa d’infanzia di proprietà di una di loro convivranno una settimana confrontandosi con una dieta a base di sola acqua, per snellire fisico e spirito nel nome di chissà quale iniziatico rito pagano o seguendo un paradossale e autolesionistico istinto in vite che non hanno più molto da chiedere. I primi giorni tutto andrà per il meglio, poi i nervi inizieranno a saltare anche a causa del passato che torna tra ombre e presenze fin troppo concrete.
Il regista, nato nel 1967 e amante di Lynch, si esprime più con immagini e riprese oniriche che con una forte consistenza narrativa - “Se fosse per me farei volentieri film muti.” I dialoghi sono spesso essenziali o fuori dal contesto reale come fuochi fatui nella notte. L’uso di filtri cromatici e momenti di intensa saturazione dei colori è costante. L’uso della mdp è attentissimo e i movimenti sono lentissimi ma curati e calcolati fino all’ultimo fotogramma, puntando molto su oggetti, particolari e primissimi piani. Infascelli usa inoltre il grandangolo per storpiare i volti ed evidenziare l’evoluzione della sofferenza dei personaggi.
Potremmo definirlo un thriller, un giallo o un horror alla “Infascelli” - “Con un po’ di presunzione posso dire che ho uno stile adesso, i miei film si riconoscono”- che parte e finisce silenzioso, ma in un crescendo continuo, diventando piano piano angosciante e dispensatore d’inquietudini (le immagini barcollano e la mdp spia in agguato dietro agli angoli delle stanze). Oltre al già citato Lynch, il retroterra e le reminiscenze sono senza dubbio ascrivibili ai nomi di Cronenberg (per la biologica inclinazione) e Van Sant (per la quieta visionarietà) che rimandano flashback di opere tenute nel cuore.
Rispetto ai due precedenti lavori quest’ultimo è sicuramente il più maturo e psicotico. Almost Blue era un interessante esordio, Il siero della vanità uno splendido e grottesco manifesto della stupidità socio televisiva. H2Odio è un passo avanti per la tecnica e l'esperienza, la forza delle immagini e dei colori ma un passo indietro forse per l’intensità del messaggio.
Il film arriva a tratti, è un patchwork, un insieme di frammenti e suoni che risulta spesso slegato nei punti cardine. La sovrabbondanza di effetti e di suoni (molto bella tuttavia la colonna sonora ed il sistema di suoni-immagine) crea confusione, lo stile rischia di diventare troppo carico. Ma come una canzone dei Sonic Youth, un film di Infascelli è volutamente irrazionale e quindi difficile (o inutile) da spiegare. Come nel precedente film la figura della donna è al centro del discorso, nel bene o nel male, una cattiveria femminile o un romanticismo nero agli estrogeni.
L’elemento idrico è fondamentale. Le ragazze arrivano dall’acqua, si cibano d’acqua, sono insapore come l’acqua. H2O come flusso della vita lieve e inconsistente, la trasparenza vacua dei ricordi sul fondale degli anni perduti.
Forse il tema del doppio, la parentela, la defunta (gemelle/sorelle/passato/inconscio/turbamenti/pazzia), sanno di già visto o rivisitato soprattutto in questo genere.
L’acqua è il primo luogo di vita, la placenta dove il feto si sviluppa e cresce, ci accoglie e protegge come una tasca, una sensazione primordiale quindi. La “sindrome del gemello evanescente” nei primi tre mesi di gravidanza è una cosa che lascio scoprire e comprendere dopo la visione del film, per pensare ai nostri simili che forse non esistono o forse esistevano ma noi siamo stati più fortunati e adesso ne siamo qua a scrivere. Guardando come vanno molte vite alla deriva, i momenti di tragedia e il generale comportamento del mondo viene da esclamare: “fortunati un cazzo!”.
[alessandro antonelli]