Nella sala Anna Magnani, all’interno dell’ambasciata francese a Piazza Farnese a Roma, incontriamo la protagonista di “La premiére etoile” Firmine Richard che interpreta la madre di Lucien Jean Gabriel. In patria il film ha sbancato i botteghini francesi incassando oltre 16 milioni di euro e ha ottenuto una nomination come migliore opera prima ai Césars. In Italia viene distribuito in 40 copie dalla neonata società “Nomad film” che con questo film cerca di creare uno spazio indipendente nel mercato bloccato dei due colossi televisivi, 01 per la Rai e Medusa per Mediaset.

Prima di venire in questi giorni per la presentazione del film “La prima stella”, era già stata in Italia?
Sì, quasi vent’anni fa ormai, per girare il film di Dino Risi “Tolgo il disturbo” con Vittorio Gassman ma non si può dire che conosca il vostro paese. Sono stata appena dieci giorni a Roma e non sono stata da nessuna parte tranne che sul set.

Qual è la sua storia personale, ha origini antillane come la protagonista del film? Il creolo si parla ancora in Francia come si vede in alcune scene del film?
Sono nata nelle Guadalupe nel 1947, lo dico perché porto molto bene la mia età, dove sono vissuta fino ai diciotto anni e nel 1965 mi sono trasferita a Parigi. Il creolo è la mia lingua madre e ci tengo che mio figlio lo conosca e lo parli così bene. Ho fatto tanti viaggi tra Guadalupe e la Francia prima di stabilirmi a Parigi. In Francia gli antillani parlano tra di loro il creolo, come pure gli italiani quando si ritrovano all’estero parlano italiano. È giusto che siano i nonni a trasmettere ai nipotini il creolo e anche se non lo parlano, comunque lo capiscono e questo è importante per far conoscere le proprie origini. Non esiste un’unica lingua creola comunque, tutte sono diverse l’una dall’altra, ma le persone che vengono da Haiti, dalla Martinica o da Guadalupe non ha difficoltà a comprendersi tra di loro.

Dove è stato girato “La premiere etoile”?
Un mese in montagna e un mese in studio.

Come vi siete conosciuti col regista? Ci sono stati problemi a trovare i fondi necessari per realizzare il film?

Per quanto riguarda la produzione è meglio che ve ne parli mio figlio che è il produttore. Attraverso lui ho conosciuto Lucien perché avevano già lavorato insieme. L’altro socio, Marie Castille Mention-Schaar voleva fare col regista il film da dieci anni ma rimandavano sempre. La cosa difficile è stata convincere i finanziatori su questi argomenti e soprattutto i network televisivi a comprare una storia in cui uomini di colore erano i protagonisti.

Quali sono gli elementi degli anni ottanta nella storia del regista?
Peccato che non c’è qua il regista. Effettivamente non si vede chiaramente cosa ci sia degli anni ottanta del mio ruolo nel film, è solo una nonna con dei nipotini come se fosse ambientata oggi. Il regista racconta una storia autobiografica, quando la madre portò la sua famiglia sulla neve, perché fossero integrati nella società francese. Da qui è partito Lucien Jean Baptiste, da quest’episodio e insieme col produttore hanno pensato che fosse una bella storia raccontare e che fosse ancora attuale.

C’è un messaggio indirizzato alle generazioni di oggi sull’integrazione? Forse negli anni ottanta l’integrazione era ancora possibile?
Ci sono tanti messaggi in questo film. Non solo per i giovani ma anche per noi di colore. La bambina nel film ad esempio si vergogna con i suoi compagni di ammettere che va in montagna e preferisce dire che per le vacanze andrà con la famiglia al mare. Non è per niente vero che non possiamo essere sciatori, possiamo essere campioni sportivi in tutte le discipline, non dobbiamo limitarci a essere bravi solo a ballare o a fare spettacoli. La scena del parrucchiere in cui le donne si dividono e litigano perché la neve non è una cosa da neri, è emblematica. Quando francesi di origini africane e francesi di origini antillane si scontrano accade proprio come viene mostrato nel film. Anche la bambina che si stira i capelli per assomigliare ai bianchi è un messaggio. Ogni fase storica ha le sue problematiche.
De Gaulle promosse l’integrazione con i creoli creando l’Ufficio immigrazione dei territori d’oltremare, aiutando di fatto tutti quelli che venivano dalle Antille e dall’Africa. Nei nostri paesi non avevamo lavoro mentre in Francia mancava la forza lavoro. Gli antillani lavoravano presso le compagnie telefoniche, nelle poste e nei trasporti, mentre gli africani entravano nelle ditte di pulizia. La prima generazione di immigrati si sono integrati e hanno assorbito la cultura che li accoglieva, mentre per i figli non è stato lo stesso e l’integrazione non è avvenuta altrettanto bene. Oggi è più difficile che si canti la canzone su De Gaulle come si può vedere in una scena del film.

A proposito può dirci qual è il significato della canzone?
Si cantava in Martinica e non nelle Guadalupe, è un omaggio a De Gaulle che ci portava il “lardo” cioè il cibo e gli aiuti necessari, proprio in un periodo in cui da noi non arrivava niente dal resto del mondo.

Come mai esistono pochi film sulla realtà antillana?
Perché bisogna trovare i registi interessati a questi argomenti. Quando ho fatto “Romuald e Juliette” negli anni ottanta con Coline Serrau, lei fu molto coraggiosa a girarlo. C’erano tanti messaggi in quel film e speravamo che ci sarebbero stati altri film su quei temi ma così purtroppo non è stato. Poi bisogna vedere se le televisioni sono interessate a produrre e a comprare film del genere. Con questo film abbiamo incassato 16 milioni di euro solo in Francia, è andata bene ma la produttrice ha dovuto faticare molto per trovare i fondi necessari e a finire il film. È triste dirlo ma i film sui neri non fanno cassetta, non sono commercialmente appetibili e gli esercenti e i distributori non li vedono di buon grado. Bisogna convincerli puntando sulla qualità del film, sul fatto che sia un prodotto valido indipendentemente dal colore della pelle dei protagonisti. Ma così accade nel resto della società, in tanti paesi ci sono gli stessi ostacoli, ma gli ostacoli sono fatti per essere superati!.

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