Lezioni di felicità
[a cura dell'ufficio stampa]

Nato nel 1960, allievo della Scuola Normale Superiore, laureato in filosofia, Eric-Emmanuel Schmitt si è fatto conoscere inizialmente a teatro con Le Visiteur, ipotetico incontro tra Freud e forse Dio, diventato un classico del repertorio internazionale. Il primo successo è stato rapidamente seguito da tanti altri come: Variations énigmatiques, Le Libertin, Hôtel des deux mondes, Petits crimes conjugaux, Mes Evangiles… Osannato da critica e pubblico, i suoi spettacoli hanno vinto diversi premi “Molière” oltre al “Grand Prix du théâtre della Académie française” e le sue opere vengono messe in scena ormai in più di 40 paesi. Recentemente, i quattro racconti del suo Cycle de l'Invisible, che parlano di infanzia e spiritualità, hanno riscosso un immenso successo sia a teatro sia in libreria: Milarepa, Oscar et la dame rose, L'Enfant de Noé et Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano, dal quale François Dupeyron ha tratto un film interpretato da Omar Sharif premiato con il “César” come Migliore Attore nel 2004.
La carriera di romanziere, iniziata con La Secte des égoïstes, assorbe ormai gran parte delle sue energie da quando ha scritto L'Evangile selon Pilate, libro voluminoso del quale La Part de l'autre è il lato più oscuro. Da allora, ha scritto Lorsque j'étais une œuvre d'art, variazione fantastica e contemporanea sul mito di Faust e una auto-fiction Ma Vie avec Mozart, una corrispondenza intima ed originale con il compositore di Vienna.
Nel 2004, ha vinto il “Gran Premio del Pubblico” a Leipzig, il “Deutscher Bücherpreis” per Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano e a Berlino, il prestigioso premio “Die Quadriga” per "l’umanità e la saggezza delle quali il suo umorismo riesce a nutrire gli uomini". Nell’autunno del 2004, la rivista Lire ha condotto un sondaggio tra i Francesi per scegliere “i libri che gli hanno cambiato la vita”: Oscar et la dame rose – fatto eccezionale per un autore vivente – si trova accanto a opere come La Bibbia, I tre moschettieri, o il Piccolo Principe.


Finora non aveva mai acconsentito a dirigere i suoi spettacoli teatrali, e poi ecco che si lancia in questa avventura cinematografica dirigendo Odette Toulemonde. Si tratta forse della realizzazione di un sogno?

Quando avevo 10 anni, a chiunque mi chiedesse cosa avrei voluto fare da grande rispondevo: « Walt Disney » ! Per me, era come dire fare il regista perché, a quell’epoca, non avevo ancora perfezionato la mia analisi sul cinema e inoltre, gli unici film che vedevo erano i cartoni animati. Successivamente, e non so dirle per quale ragione, non ho dato libero sfogo a questo mio desiderio. E’ un qualcosa che ho sempre messo da parte, forse perché pensavo che fosse al di là delle mie possibilità.

Quali sono i film ed i registi che l’hanno influenzata maggiormente?
Il giorno che ho capito che il cinema era arte avevo 15 anni ed ero appena uscito da una sala dove proiettavano Orfeo di Jean Cocteau. E’ un film che mi ha letteralmente conquistato e che continuo a rivedere con grande passione. Ho adorato quella storia che era al contempo metafisica e poetica, ma nutrivo anche una grandissima ammirazione per gli effetti speciali usati. Da quel giorno, tra me e il cinema è scoppiata una vera passione che mi porta ad amare ugualmente autori quali Cocteau e i grandi del cinema comico. Ho adorato Ophuls, Lubitsch... Vogliamo vivere è un film che conosco letteralmente a memoria! Per quanto riguarda i cineasti contemporanei, ammiro moltissimo Jaco Van Dormael. Toto le héros-Un eroe di fine millennio e L’ottavo giorno sono degli autentici capolavori. Devo confessare che è proprio in nome dell’amore che nutro per alcuni registi che mi sono sempre imposto di non mettermi dietro la macchina da presa. Non mi sono mai considerato uno di loro.

E allora cos’è che l’ha spinta a cambiare idea e a dirigere il suo primo film?
E’ tutto merito di Yann Moix. Stava cominciando a girare Podium e ad essere sincero non provavo né invidia, né gelosia; anzi, al contrario, ero contento che realizzasse il film. Un giorno mi ha chiesto: «Ma perché non ne fai uno pure tu?» Ed io gli ho risposto: «Perché non ne sono capace! » E a quel punto lui ha pronunciato questa frase: «Se c’è un persona che conosce alla perfezione l’universo di Eric-Emmanuel Schmitt, questo è Eric-Emmanuel Schmitt !» Potrebbe sembrare una fase ovvia e sciocca, ma mi ha fatto scattare qualche cosa. E allora mi sono detto: «Ha proprio ragione; se c’è qualcuno che conosce il mio universo, quello sono proprio io» A volte ho provato una sorta di insoddisfazione guardando i testi che avevo scritto prendere vita sul palcoscenico o sul grande schermo perché non mi sembravano “completamente” giusti, appropriati. Una volta sul set, la mia vera ossessione è stata trovare l’elemento “giusto, esatto” in qualunque cosa: nei movimenti della macchina da presa, nelle inflessioni dei dialoghi, nei silenzi…

Aveva già in mente la storia di Odette Toulemonde prima di pensare concretamente alla sua realizzazione?
Diciamo che questa storia parte da uno spunto autobiografico. Ricordo che durante una tournée in Germania sulla costa del Mar Baltico, partecipai ad una conferenza stampa con il teatro pieno zeppo e con tanta gente che chiedeva autografi ma, malgrado tutto ero molto triste. Era il giorno del mio compleanno, nessuno in quella città lo sapeva ed ero molto lontano da casa mia. A quel punto, una lettrice mi consegnò una lettera. Si era agghindata per l’occasione e forse aveva esagerato.Toccando la busta, mi è sembrato di riconoscere un oggetto a forma di cuore: ho aperto ed era proprio così! Anche se l’ho ringraziata, non sono stato troppo gentile con lei perché quel cuore era molto kitsch e questo voleva dire che quella signora non aveva i miei stessi gusti e di conseguenza non riuscivo a capacitarmi di come una persona così diversa da me potesse apprezzare i miei libri. Se devo essere completamente sincero, mi sono quasi vergognato di avere un’ammiratrice come lei.

E’ un po’ lo stesso problema che ha Balthazar Balsan quando afferma di scrivere per cassiere e parrucchiere…
Esattamente! Ma forse l’unica “colpa” di quella lettrice è stata aver usato un linguaggio troppo kitsch – a mio avviso – per esprimere il suo affetto nei miei confronti ed io, invece di capire la generosità e l’umanità che c’erano dietro quel gesto e quella donna ho colto solo il lato kitsch e sul momento ho risposto parlando in un francese molto corretto, con un tono piuttosto critico mostrando una sorta di superiorità sarcastica per i gusti degli altri. Un’ora dopo, solo nella mia camera d’albergo, triste, malinconico, ho aperto la lettera e l’ho trovata molto bella; a quel punto quel cuore che avevo trovato così ridicolo, mi è sembrato bellissimo. Me lo sono appoggiato sul petto e l'ho tenuto così quasi tutta la notte.

E anche lei è andato a trovarla a casa?
No, nella vita vera la cosa si è conclusa lì! Ma quel giorno ho capito che quello che conta è l’autenticità dei sentimenti e quando sono tornato a casa mi sono detto che quello poteva essere l’inizio per una nuova storia. E quindi, invece di viverla, l’ho scritta.

Da dove viene il nome Odette Toulemonde ?
E’ frutto di un’ispirazione! Quando ho buttato lì tra il serio e il faceto a Gaspard de Chavagnac, il produttore, e a Bruno Metzger, il direttore artistico, che il personaggio si sarebbe potuto chiamare Odette Toulemonde, hanno riso così tanto che mi sono detto che andava benissimo. Alla fine è diventato addirittura il titolo del film. Toulemonde è un nome piuttosto comune nel nord della Francia e in Belgio.

Come definirebbe Odette ?
E’ una donna che si porta dentro una sorta di orchestra jazz, nel senso che è piena di gioia. E questa gioia le permette di attraversare la vita, di dimenticare le cose che possono essere troppo dolorose – o di credere di poterle dimenticare. Dalla morte del marito, ha soppresso la propria fisicità e nel film Odette darà la sua anima a Balthazar mentre Balthazar le darà il suo corpo. E’ questo lo scambio che è al centro del film ed è per questo che alla fine del film diventeranno una coppia.

Si ritrovano sia nell’amore sia nella fantasia. E lei ha una visione un po’ particolare dei propri figli…
Giusto. Infatti, Odette trova che sia più grave avere una figlia che è sempre di cattivo umore piuttosto che avere un figlio omosessuale. Sa chiaramente quali sono i valori che contano nella vita: se suo figlio è felice, anche lei è felice di conseguenza e se sente che la figlia non lo è, si preoccupa e tenta di intervenire, con dolcezza e delicatezza sul suo destino.

Bisogna ammettere, che la vita di Odette non è certamente delle più divertenti…
Ma lei vede solo il lato positivo della vita, perché ha il dono della meraviglia, dello stupore. Inoltre, presta molta attenzione agli altri e questo emerge già dalla prima scena con la cliente un po’ abbattuta che torna poi a metà film. Tuttavia, conduce una vita piuttosto difficile perché ha dei problemi economici. Per questo fa due lavori: di giorno fa la commessa nel reparto cosmetici di un grande magazzino e la sera cuce le penne sui costumi di scena per le ballerine delle riviste.

Ma perché ha scelto proprio questa attività?
Perché questo film è la storia dell’incontro tra un uomo e una donna di penna! Ma per rispondere alla sua domanda, devo confessarle che l’attività di Odette nel film è un mestiere che mi affascina molto, come tanti altri lavori artigianali del resto. E’ diventato un lavoro piuttosto raro, e a Parigi ormai ci sono solo due persone che cuciono piume e penne sui costumi delle soubrette. Per Odette, il fatto stesso di cucire penne e piume e di fabbricare dei costumi vistosi è una maniera come un’altra per evadere. Dentro di sé, si cela un’immensa gioia di vivere che è simboleggiata da Joséphine Baker della quale conosce a memoria tutte le canzoni e che è una sorta di sua voce interiore. Ma ciò che la rende veramente felice è una cosa sola: il suo autore preferito, Balthazar Balsan.
Io penso che, il segreto della felicità di Odette sia un qualcosa di innato ma lei è convinta che sia merito di quell’uomo perché i suoi romanzi le fanno proprio bene. Durante i giorni di lutto seguiti alla perdita del marito, si è sicuramente affidata a quei romanzi per non perdere la speranza e restare attaccata alla vita. Di conseguenza, ritiene di essere in debito con lui, e che lui ha il diritto di saperlo. Alla fine, riuscirà a pagare il debito in una maniera che va ben al di là dalle sue attese.

Ha avuto rapporti simili con alcuni dei suoi lettori?
Sì, mi sono capitate tante storie simili e devo confessarle che mi sconvolgono sempre. Fare del bene, è forse l’obiettivo ultimo dell’arte della scrittura ma è così grande ed ambizioso che io non oso neanche sperare di raggiungerlo. Ma spesso i lettori ti esprimono la loro gratitudine con delle lettere magnifiche, commoventi e delle altre in maniera piuttosto buffa e divertente come è il caso di una signora di Bruxelles che recentemente è entrata in una libreria dove io firmavo le copie del mio libro e ha usato l’espressione: «Quando sono giù di morale mi faccio di Schmitt ! E lo consiglio anche a tutte le mie amiche!» Per quanto riguarda alcuni libri in particolare, come per esempio Oscar et la dame rose che racconta la storia di un bambino malato ma lo fa in maniera gioiosa e coraggiosa, i lettori non mi dicono bravo ma mi ringraziano. E questa è la migliore delle ricompense per uno scrittore perché vuol dire essere riusciti a penetrare in una zona nella quale forse si è utili a qualche cosa, e aver superato il momento del puro e semplice narcisismo.

A questo punto parliamo di scrittori, di uno a caso soprattutto: Balthazar Balsan.
Lui è ancora troppo narciso!

E’ un autore di successo che non riesce a mandare giù il fatto di essere un autore popolare …
Si è portati a credere che un autore popolare decida di esserlo, ma in realtà lo scrittore è semplicemente l’autore del suo libro e non del suo successo. E’ il pubblico che è l’artefice del suo successo. Tutto è falsato se si attribuisce ad un autore l’espressa volontà di essere uno scrittore di successo. A metà della sua esistenza, nonostante l’apprezzamento dei suoi lettori, Balthazar Balsan non ha più alcuna fiducia in sé. Non sa più quali siano i suoi riferimenti e anche se i suoi libri non contengono mai luoghi comuni, la sua vita ne è piena zeppa. Basta citare il luogo comune della felicità che ha adottato come modello di vita senza mai chiedersi se fosse veramente felice.

Che cosa intende per luogo comune, cliché della felicità?
Essere ricco, avere successo, possedere un enorme appartamento a Parigi, un’automobile molto chic, avere una moglie bella ed affascinante che si può mostrare in qualunque occasione… Balsan ha collezionato tutti i simboli del successo ma in fondo in fondo, ha fallito perché nulla di ciò che possiede ha niente a che vedere con la sua identità più profonda. E quando scopriamo che è di umili origini e che è cresciuto in un orfanotrofio, capiamo che ha concepito la vita come una sorta di rivincita sociale ispirandosi a modelli preconfezionati di felicità e di successo per trovare una collocazione nella società perché non ha mai conosciuto i suoi genitori e non ha mai avuto una famiglia vera. Ciononostante, Odette lo aiuterà a ritrovare il suo vero io e le cose che contano veramente, e a cercare ciò che possa renderlo veramente felice. Il paradosso è che colei che lo rende felice non è necessariamente la donna più bella o la più sexy. Certo, è vero che Odette è una persona raggiante, graziosa e che si muove benissimo ma ci sono tante altre donne più belle, più giovani, più appariscenti di lei. Ma alla fine sarà lei ad avere la meglio; per capirlo, doveva prima toccare il fondo. Quindi, possiamo concludere che questo film racconta la storia di una donna che ripesca un uomo dall’abisso nel quale era sprofondato.

C’è una scena nella quale Balthazar dice: «Ho passato più tempo a firmare le copie dei miei libri che a scriverli». E’ forse uno dei messaggi del film?
Direi piuttosto che è una confessione! Ho fatto delle tournée in diversi paesi dove ho trascorso ore ed ore a firmare copie per i miei lettori, con la gente che faceva la fila anche per un’ora, un’ora e mezza. … E spesso quando arrivavano davanti a me erano sfiniti e io potevo dedicargli solo pochi second, credo che sia un’esperienza frustrante per tutti!

Da quello che mi sembra di capire non sono poi così tanti i punti in comune tra Balthazar Balzan e Eric-Emmanuel Schmitt?
Io mi sento sia Odette sia Balthazar. Penso che la felicità che ho provato realizzando questo film sia dovuta al fatto di aver dato libero sfogo alla gioia di vivere che c’è in me, e che avevo espresso in passato in forma metafisica o filosofica ma mai usando i suoni e le immagini in movimento. Grazie all’incontro con Catherine Frot, che è stata capace di interpretare alla perfezione questo personaggio, e grazie alla magia del cinema, ho avuto l’impressione di essere stato molto più me stesso con questo film che con tanti miei libri. Questo film mi somiglia molto di più di tante altre cose fatte in passato perché c’è questa sorta di felicità nell’essere vivi che non ero mai riuscito ad esprimere allo stesso modo. Anche io ho delle ingenuità e dei candori, proprio come quelli di Odette e ho anche dei momenti di depressione o di ambizione come quelli che vive Balthazar.

L’incontro tra Odette e Balthazar avviene in più tappe…
Diciamo che la cosa fondamentale e quella a mio avviso più divertente è il semplice fatto di far incontrare dei personaggi senza che si incontrino! Infatti, si vedono diverse volte senza che lui se ne renda conto proprio perché lei non è il tipo di donna alla quale lui presta generalmente attenzione, abituato com’è a sentire una forte attrazione sessuale per le donne. Ma Odette non gli fa questo effetto e quindi ci mette parecchio tempo per rendersi conto che è graziosa e che ha voglia di baciarla. Lei lo ama di un amore puro e incondizionato, ma non si tratta neanche per lei di un amore sensuale. Lei è letteralmente pietrificata dall’ammirazione, è affascinata da lui e al tempo stesso, lo conosce intimamente cosa che invece non succede a lui. Io vivo spesso questa sproporzione durante gli incontri con i miei lettori: loro mi conoscono intimamente perché leggono le mie opere e io invece non so nulla di loro… Questo squilibrio fa sì che spesso siano più bravi a parlare con me di quanto lo sia io con loro.

Come ha scelto Catherine Frot e Albert Dupontel?
Quando ho finito di leggere la storia mi sono chiesto: «Chi saranno gli attori?» Dupontel si è imposto quasi subito perché è un attore che ammiro dai tempi di Un héros très discret. Lo trovo originale, capace di qualunque cosa, dotato del senso dell’esagerazione e di una grossa fantasia. E’ un attore che mi appassiona e volevo fargli interpretare il personaggio del clown triste, perché era un ruolo che non aveva ancora mai interpretato ma che sapevo gli sarebbe stato congeniale. Per me, è un vero animale da cinema perché riesce ad essere espressivo anche se è inquadrato di spalle, dal basso, dall’alto, di fianco… Recita con tutto il corpo, come i grandi del cinema americano. Il nostro incontro è stato alquanto buffo perché lui deve aver pensato che in fondo io non lo conoscessi quasi per niente ed io ho pensato lo stesso di lui. Alla fine, abbiamo scoperto che io avevo visto praticamente tutti i suoi lavori e che lui aveva letto la maggior parte dei miei libri! Diciamo che in segreto già ci desideravamo a vicenda. Dimostrando un grande coraggio, si è affidato completamente a me per esplorare le sue zone di fragilità, di stupore amoroso e di ingenuità che sono dure da mandar giù per un uomo. Abbiamo lavorato in perfetta armonia.

E Catherine Frot ?
Ho pensato a lei perché risolveva un’equazione: sognavo un’Odette che fosse al tempo stesso carina e buffa. Una donna buffa ma non al punto da cadere nella farsa e quindi dovevo evitare le attrici puramente comiche. Come ho detto, doveva anche essere carina e raramente le attrici carine sono comiche e buffe. Ed è stato praticamente questo ragionamento che mi ha condotto a Catherine! Per fortuna mi ha detto subito di si ed io ne sono rimasto letteralmente affascinato! Durante le riprese ci ha lasciati letteralmente di stucco per la maniera in cui si è immedesimata nel personaggio. Viva, gioiosa, commovente, graziosa, pronta a tutto, ci ha veramente incantati. Inoltre, ogni settimana, mi veniva a ringraziare per averle affidato questa parte e credetemi, questa è una cosa che ti mette veramente di buon umore!

Che cosa ha provato quando ha visto Odette interpretata da Catherine Frot?
Mi è sembrata di gran lunga migliore di quanto pensassi! Con Catherine, c’è la poesia e c’è il distacco. Molte donne non osano mostrarsi con gli occhi sognanti, non vogliono far emergere tutto il loro candore o energia…Mi ha fatto pensare a un Jacques Villeret al femminile. Sono attori che si amano perché sono sempre al limite del ridicolo ma si mantengono sempre dal lato giusto senza cadere nell’eccesso. Mi spiace che il mio esordio tardivo dietro la macchina da presa mi abbia privato della possibilità di lavorare con Villeret.

Che cosa le piace del dirigere gli attori?
Non si dirigono gli attori ma gli si spiegano le proprie intenzioni prima che comincino a recitare, gli si spiega tutto affinché capiscano che ciò che è scritto nella sceneggiatura non è frutto del caso, e li si guarda con affetto aspettandosi che ti diano il meglio. Per esempio, la scena dello schiaffo era tutta scritta nei minimi particolari. Nulla è stato improvvisato. Dirigere è soprattutto dare fiducia agli attori. Quando li si guarda con occhio esigente e benevolo, gli attori possono fare qualunque cosa.

Quando è felice, Odette spicca il volo e questo porta alla creazione di scene molto oniriche. E’ un’idea di regia che aveva sin dall’inizio o ci ha pensato dopo?
E’ un’idea che mi è venuta in fase di scrittura. Tutte le metafore e le immagini della scrittura diventavano per me immagini cinematografiche. Quando Odette è felice, spicca il volo; quando è in bagno e si immagina nella foresta vergine, ecco apparire la foresta. Durante le riprese ho girato tantissime scene di fantasia ma poi, durante il montaggio, ho dovuto limitarle per non mettere a repentaglio la credibilità della storia.

L'aspetto tecnico del film è stato fonte di angoscia?
No, perché ho potuto fare affidamento su una troupe preparata e generosa. E poiché sono un regista debuttante, il produttore e la Pathé mi hanno circondato dei migliori tecnici sulla piazza. Mi hanno fratto incontrare tantissimi cameraman, scenografi, aiuti, ed io li ho scelti non tanto sulla base delle loro competenze quanto delle qualità umane pensando al fatto che avrei dovuto passare circa sei mesi in loro compagnia. Ho scelto persone che erano intrigate all’idea di collaborare alla realizzazione del primo film di uno scrittore e alla fine abbiamo messo insieme una troupe efficace, efficiente, attiva e creativa.

La musica svolge un ruolo fondamentale nel film. Quali indicazioni ha dato a Nicola Piovani per ottenere la musica così leggera che si adatta alla perfezione al suo film?
Sapevo da anni che il giorno in cui avrei deciso di dirigere un film, la colonna sonora sarebbe stata di Nicola Piovani.

E perché?
Perché ho visto e ascoltato ciò che ha fatto con i fratelli Taviani, con Nanni Moretti, con Roberto Benigni. Le sue colonne sonore hanno accompagnato tanti grandi film italiani, soprattutto quei film al contempo intellettuali e popolari che osano avere per protagonisti dei personaggi semplici. Penso ai ruoli interpretati da Sophia Loren, a personaggi dotati di un grande cuore. E Nicola ha un grande cuore. E’ al tempo stesso generoso, popolare e raffinato.

Lei ha detto: «Sono un regista che la sera vuole tornare a casa sua.» E’ per questo che ha girato in Belgio?
Esatto! Sono una persona molto pigra e devo ammettere che ero talmente spaventato dalle responsabilità che sentivo pesare su di me per questo mio primo film, che tornare a casa mia a Bruxelles la sera non era un semplice capriccio! Era l’unica maniera a mio avviso per trovare la forza di fare tutto e bene. Temevo sinceramente che non ce l’avrei fatta fisicamente e psicologicamente e volevo meritarmi a tutti i costi la fiducia degli attori e della troupe. Durante le riprese mi sono sentito in debito, in “debito”, esattamente come Odette! E’ un rapporto un po’ stupido ma dinamico che consiste nel tentare di meritare ciò che ti viene dato.

Ha messo insieme diversi attori belgi…
Sì. I figli di Catherine Frot debuttano sul grande schermo con questo film. E per quanto riguarda i ruoli minori, ho scelto dei grandi attori di teatro che hanno accettato solo in nome dell’amicizia che ci lega. Per esempio, nella scena dell’autobus, vediamo Jacqueline Bir, la grande signora del teatro belga che aveva interpretato Oscar et la dame rose. E’ un po’ il risultato di una vita dedicata al teatro e dei rapporti che ho instaurato con la gente nel corso degli anni.

Il libro è stato scritto prima o dopo la sceneggiatura?
Generalmente un film è l’adattamento di un libro, ma in questo caso è successo il contrario: è nato prima il film e poi il libro! Prima di iniziare le riprese del film, stavo per scrivere un grosso romanzo e mi avevano fatto firmare un contratto che mi vietava di praticare gli sport violenti e la scrittura. Mi sono talmente arrabbiato che durante le riprese prima e durante il montaggio poi, non appena avevo un momento libero, scrivevo delle cose che ora fanno parte della raccolta! Finito il film, mi sono detto che avrei scritto la storia narrata dal film che di conseguenza è leggermente diversa da quella che vedrete sullo schermo perché è il mezzo espressivo ad essere diverso.

Pensa che questo film potrà aiutare persone come Odette ad avere a che fare con quelli come Balthazar ?
Non ho certamente questa pretesa ma non nego di nutrire questa speranza. Si tratta semplicemente di liberare la gioia vitale che noi tutti possediamo e che spesso la vita e le sue convenzioni ci fanno dimenticare, mettendola a tacere. La felicità è una questione di sguardi, come lo sguardo che quella donna rivolge a quell’uomo. O quello che quell’uomo rivolge a quella donna, e che fa sì che la felicità torni ad essere possibile
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Conosceva Eric-Emmanuel Schmitt prima di questo film?
Non personalmente. Avevo letto alcuni dei suoi romanzi e avevo visto a teatro lo spettacolo “Le Visiteur” con Maurice Garrel e Thierry Fortineau che mi era piaciuto molto.

Che cosa ha pensato quando ha letto la storia del film?
Mi sono immediatamente innamorata del personaggio di Odette e dell’idea che fantastichi sulla propria vita. L’altra cosa che ho molto apprezzato è stata il fatto che si tratta di una commedia musicale anche se alla fine questa parte è stata un po’ ridotta. E poi la possibilità di recitare accanto ad Albert Dupontel mi intrigava parecchio.

Come definirebbe Odette?
E’ una signora Toulemonde che però non somiglia a nessuno. E’ una donna altruista, generosa che si fa carico delle sofferenze altrui. Rientra in quella categoria di personaggi che spesso tendiamo a disprezzare. Per me, Odette è un personaggio alla Yoyo di Aria di famiglia o alla Louise di Les Soeurs fâchées. Al tempo stesso però, mi ha fatto anche pensare alle eroine dei film di Pagnol caratterizzate da un grandissimo candore.

Però, ha anche i piedi per terra. La sua vita non è poi tutta rose e fiori…
Ma non è una vita grigia, al contrario è piena di colori e lei ha la capacità di rendere tutto bello e di vedere tutto rosa.

Coma ha fatto a trasformarsi in Odette?
Innanzitutto, mi sono detta che si tratta di una donna che apparentemente non conta nulla ma che invece è tutto. Poi, provando i balli, mi sembrava già di vedere Odette spiccare il volo e infine, ho lavorato sul look che doveva esser divertente ma anche inaspettato e quindi il cappotto, la sciarpetta, l’acconciatura …

Qual è la cosa che le è piaciuta di più del personaggio e che si è divertita maggiormente ad incarnare?
Il contrasto tra il suo lato kitsch e l’amore per Joséphine Baker. Odette dice: «Sono nera dentro» e il suo personaggio trae forza da questa affermazione, diventa più inquietante, profondamente umano e anti razzista.

Che cosa succede quando Odette incontra Balthazar Balsan, il suo scrittore preferito?
Questa è la parte comica del film. La prima volta che lei lo vede, non riesce a dire nulla e dopo si pente per aver balbettato. In lei c’è un non so che di sconcertante, ma poco a poco dovrà prenderne coscienza e recuperare le forze.

Balthazar, è l’esatto contrario di Odette. Per lei si tratta di un altro mondo…
E’ l’incontro tra un’ottimista e un pessimista ma come sappiamo spesso gli opposti si attraggono. Per me, questi personaggi sono degli eroi.

E’ la prima volta che recita con Albert Dupontel. Che tipo di attore è?
Lo trovo divertente ed interessante. Ho visto tutti i suoi film e non vedo l’ora di vedere il prossimo… E’ una persona rara e si è immedesimato completamente nel lato depresso del suo personaggio. Si è spinto fino in fondo nel suo grigiore e questo ha spinto me ad andare fino in fondo nei colori.

In che maniera Eric-Emmanuel Schmitt l’ha sorpresa maggiormente sul set?
Per me, si è trattato di un finto primo film perché dopo i primi due o tre giorni di rodaggio, si è adattato immediatamente e ci ha imposto la sua visione e il suo universo. Diciamo che ha imparato molto alla svelta come si fa il regista!

Che effetto le ha fatto spiccare il volo?
Direi che è stato impressionante visto che eravamo a –1, ed io mi trovavo a 28 metri di altezza appesa ad una gru immensa dalla quale si vedeva tutta la città di Charleroi. Non ci sono stati né trucchi né effetti speciali. Ero veramente sospesa a mezz’aria, infagottata in un’imbracatura allucinante…. Mentre a Bruxelles, ero in una specie di navicella grande come me!

Che cosa ha pensato scoprendo il film?
Eric-Emmanuel Schmitt ha realizzato il film che voleva fare e ha esaudito i suoi desideri. Sono molto felice di aver partecipato a questa avventura.

Eric-Emmanuel Schmitt era convinto che lei non la conoscesse. E’ sempre stato un suo lettore appassionato?
E’ vero che lo conoscevo solo di fama ma dopo aver letto la sceneggiatura mi sono procurato tutti i suoi libri e non è stata un’impresa da poco vista la mole… Ho divorato la sua opera omnia in poche settimane!

Tra i suoi romanzi e i suoi spettacoli teatrali, quali preferisce?
« La Part de l’Autre » e « Petits crimes conjugaux ».

Che cosa che l’ha colpita della sceneggiatura di Odette Toulemonde?
La fantasia narrativa e visiva che traspare dalla sceneggiatura. L’ho trovata un po’ sfrontata visto che si trattava del suo primo film, ma al tempo stesso mi ha fatto capire che celava un’autentica voglia di fare un film e quindi l’ho seguito totalmente in questo.

Dopo aver interpretato un senza tetto, un pianista famoso e un presidente della Repubblica, eccola nei panni di uno scrittore di successo in crisi… Che cosa le è piaciuto di più del suo personaggio?
A parte il fatto che mi commuovo scoprendo che ci sono delle persone “serie” che non sono spaventate dalla mia persona, ho provato un autentico piacere nello sviluppare un personaggio che è molto lontano da me. Per quanto riguarda Balthazar, penso che sia molto vicino a Eric-Emmanuel e questo mi ha rassicurato perché lui sapeva certamente di cosa stesse parlando.

Come definirebbe Balthazar Balsan?
Sincero nell’animo - e quindi nei suoi libri – ma a disagio nel suo ambiente.
Viene da un orfanotrofio, non ha mai avuto una famiglia. … Forse questo può spiegare il fatto che sia diventato uno scrittore di successo che colleziona uno stereotipo dopo l’altro. Durante l’infanzia, ha avuto tantissimo tempo per fantasticare sulla felicità e si è costruito un modello di felicità che ha “impersonato” una volta diventato adulto, dopo aver conosciuto il successo che è arrivato a mio avviso in maniera inaspettata.

Ha pensato a qualcuno in particolare per interpretare il personaggio?
In genere, mi lascio andare il più possibile mettendomi a disposizione del regista e dei suoi desideri, non penso a nessuno in particolare. «Non recitare» è la mia parola d’ordine ma non è sempre facile seguire questo motto.

In che maniera l’incontro con Odette gli cambierà la vita? Possiamo dire che sarà lei a ridargli l’anima?
Balthazar incontra una persona che sopravvive grazie ai valori essenziali nei quali crede: la generosità, l’attenzione per gli altri, la tenerezza per i suoi cari, ecc… E lui si trova bene con lei poiché in fondo lui scrive proprio rivolgendosi a persone come lei, anche se con il passare degli anni, forse se ne era dimenticato.

E’ il suo primo film accanto a Catherine Frot. Che cosa le piace di questa attrice? E perché è piacevole recitare con lei?
E’ straordinaria! E’ una delle migliori attrici che abbia mai incontrato; è dotata di una grande capacità di ascolto, ha il controllo totale sul proprio lavoro e ti spinge continuamente a fare meglio e di più.

Che cosa l’ha colpita di più nella maniera di dirigere di Eric-Emmanuel Schmitt?
Sapeva esattamente cosa voleva, nonostante qualche difficoltà tecnica iniziale che però ha superato brillantemente. Costruisce le cose in funzione di ciò che lo preoccupa maggiormente, e in questo dimostra umiltà ed intelligenza.

Come è stato girare in Belgio?
Diciamo che sono felice di aver scoperto il Belgio perché adesso so con certezza dove non andrò mai in vacanza! A parte gli scherzi, le persone sono molto gentili e entusiaste e considerato il clima, è l’unica maniera che hanno per sopravvivere…. (Risate)

Ha mai ricevuto delle lettere sconvolgenti come quella di Odette nel film?
Direi che si tratta di lettere di un altro genere ma ugualmente toccanti e commoventi, soprattutto dopo aver interpretato Bernie. Ma ho anche ricevuto delle lettere piene di insulti e di improperi che ho trovato ugualmente toccanti.

Ci sono stati degli ammiratori che le hanno confessato che lei li rende felici?
Sicuramente non come nel film ma posso dire che i sogghigni che percepisco durante le proiezioni dei miei film mi causano tantissima felicità e credo che anche questa sia una cosa buona.

Ci sono dei personaggi per i quali lei nutre una vera ammirazione, come quella di Odette verso Balthazar ?
Mi sforzo di contenere qualunque tipo di invidia o idolatria ma quando ho conosciuto artisti come per esempio i componenti del gruppo Monty Python o altri grandi cineasti, sono rimasto letteralmente folgorato… e non mi vergogno a dirlo.

 
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