anno 1
numero 3
novembre 2004

Spiderman & Soci: supereroi e storie di nostalgie

[alessandro antonelli]

L'ultimo film di Sam Raimi ci ricorda l'amicizia quasi secolare tra cinema e fumetto, uniti spesso in un unico calderone di roboanti acrobazie, fantasia e riflessioni. Occhio però ai surrogati senz'anima. Gulp!

Due sono le scintille che accendono i nostri fuochi contemporanei tra cinema e disegno. La fiammella antesignana è datata 1896, data ufficiale del primo fumetto seriale della storia con l'avvento di Yellow Kid grazie alla mano di R.F. Outcoult.

La seconda vampa, più calda e profonda, è da ricordarsi nel lontano 1928. Il 18 novembre di quell'anno infatti nasce il primo film a cartone animato con colonna sonora sincronizzata della storia, Steamboat Willie, con un certo Topolino al timone di un vaporetto. Quella piccola nave ha portato tutti lontano. Più tardi e a colori arrivò come un arcobaleno nel 1940 Fantasia, sempre della Walt Disney. Tutto si sciolse. Nel frattempo nel 1938 dal soggettista Jerome Siegel e dal disegnatore Joe Shuster era nato Superman. L'anno successivo, nel 1939, un altro eroe aveva visto la luce suo malgrado: Batman.
Il binomio cinema e fumetti ha dunque un sapore antico. Chilometri di pellicola sono scorsi e tonnellate di strisce accumulate. Ma oggi, di tutto questo comparto voluminoso e ricco di storia, a noi arriva forse qualcosa di meno puro e più spettacolarizzato, un ibrido. Una creatura cineattiva multicolore e anfibia tra fumetto, film, cartone animato e videogioco. Akira (1988) del giapponese Otomo, è il primo vero successo moderno di film d'animazione, tradotto ed esportato su tutte le terre emerse. La diffusione globalizzata di consolle e piattaforme per videogames ha nettamente amplificato nell'ultimo ventennio il potere mediatico di fumetti, manga, anime o eventi videoludici nel cinema, regalando spesso un vasto successo di massa anche tra i meno giovani. Le affinità spettacolari e pirotecniche di questi generi rendono gli stessi fortemente assimilabili da un cinema ‘Blockbuster style’ ad effetto scenografico, diventando facile combustibile per frenesie motorie postmoderne e iperattività. Ma il cinema attuale, specie quello di un certo tipo, usa il fumetto per rievocare una nostalgia latente, far leva su di una voglia di passato che ancora coviamo, riuscendo spesso solo in parte, nella forma piuttosto che nell'intento e nelle atmosfere. Il denaro e le aspettative economiche muovono sentimenti artificiali, il lucro può ammaliare ma non abita i cuori e non trafuga affetti e passioni.
Un caso isolato e degno di ricordo è The Crow (1994) con Brandon Lee, da un fumetto di James O'Barr. Originale, coerente al disegno e dalle atmosfere dark fu l'esempio che riuscì ad unire la buona fattura alla recitazione e ai risvolti di marketing. I più genuini e nostrani Diabolik (1968) di Mario Bava e Tex (1985) di Duccio Tessari con Giuliano Gemma non hanno avuto il successo sperato e anche del fantomatico Dylan Dog si sono spesso venduti i diritti qua e là e poi se ne sono perse costantemente le tracce.
Prossimamente arriveranno, dalle Americhe sempre più all'avanguardia, I Fantastici Quattro, Ghost Rider (con Nicholas Cage), Ironman, Daredevil 2, Hulk 2, X-Men 3 e Batman 5, mentre già nelle sale, passato da poco The Punisher, assistiamo a Hellboy e Garfield.
Un capitolo a parte lo merita Spiderman 2. Il secondo atto della trilogia (il terzo a luglio 2006) rappresenta quello che oggi è la combinazione fumetto-cinema nella maggior parte dei casi. Applausi, folle in delirio, schiere di consensi e botteghini ‘sold out’. C'è dell'altro. Sam Raimi (L'armata delle tenebre resta un cult movie e Darkman un buon film) da’ vita a due lavori aracnofili che luccicano e attraggono come splendidi forzieri. Ma dentro sono vuoti. Il vero tesoro è il fumetto, la sua forza emotiva, che nel film non si ritrova. Il concept del regista natio del Michigan non paga la stessa moneta e lascia la polvere sul fondo del baule. Svaluta il passato in un lavoro mastodontico sotto la produzione e la promozione, arrivando a sbalordire solo chi non vede oltre la tela. La trama seppur dinamica è ridondante e frammentata, il testo banale, scontato e autoreferenziale. La caratterizzazione dei personaggi, alla base di ogni buon progetto, è pessima e molti dialoghi non stanno in piedi. Questo da a tutto il lungometraggio un'andatura incerta e il film barcolla come un pugile suonato. Già alle corde non getta la spugna solo per i suoi veri motivi di vanto. Effetti speciali, distruzioni, scontri fisici tra il protagonista e il dottor Octopus (ottimamente interpretato da Alfred Molina) sono all'altezza dei tempi. Le scene di arrampicamento del polipo meccanico sui grattacieli e le piroette dell'Uomo Ragno durante i corpo a corpo sono avvincenti e molto realistici. Il progetto ruota esclusivamente attorno al visivo e al sonoro, perfettamente riusciti, facendo poca attenzione al soggetto e alle sfumature, relegando la saga di Spiderman al di sotto di pellicole di riferimento di settore come X-Men 1 e 2, al contrario molto ben realizzate. La fedeltà al fumetto viene poi tradita in più di un'occasione:
1) Lo Spiderman cartaceo infatti non lancia la tela dalle vene (!) ma da un attrezzo, una protesi meccanica;
2) La caratteristica di Spiderman sono i sensi amplificati, l'agilità e una maggiore energia, non la forza bruta. Ciò nonostante il nostro supereroe ferma una metropolitana in corsa proprio come Superman o Sansone.
3) Peter Parker è nella striscia della Marvel un fotografo sfigato, ma tuttavia brillante e ironico anche in situazioni di pericolo. Tobey Maguire nel suo ruolo è piuttosto un nerd alla massima esponenza con la faccia monoespressiva da ebete e imbranato quanto il miglior Fantozzi.
4) La storia d'amore al gusto di melassa tra Spiderman e Marie Jane è un'estremizzazione filmica indecente. Kirsten Dunst risulta essere (a causa della sceneggiatura spicciola e tirata via) poco credibile e dai voli pindarici troppo facili in fatto di cuore. Innamorarsi di Tobey Maguire nel film è impossibile se non sotto una buona dose di droga leggera. E la stessa donzella risulta essere odiosa e permalosa come una vecchia suocera. Un film che non trasmette niente a livello emozionale, seppur si legga su alcune riviste specializzate di una particolare chiave psicologica, riletta da regista e produzione; una saggezza d'animo che Tobey Maguire e compagnia non fanno però avvertire. Un sottotesto morale che stenta ad arrivarci e che forse non esiste. Chi è convinto di trovarci qualcosa di introspettivo ce lo trovi pure, magari rimembrando solitari anche la scena finale del matrimonio o la triste frase conclusiva ‘Corrigli dietro tigre!’ dove la Dunst tocca il fondo di una sceneggiatura che pare un groviera. Infelice è invece il termine adatto per fotografare come, ultimamente, Hollywood e le grandi case americane ci prendano in giro riempiendosi le tasche. Se americanata sia, che almeno sia come si deve e degna di essere vista da un pubblico come minimo moderatamente intelligente.
Ma un dubbio mi tormenta. E se noi fossimo i veri eroi? Noi che viviamo sulla corda la vita di tutti i giorni senza superpoteri o metamorfosi? Sopravvivere di questi tempi è senz'altro eroico. Nella lancinante e rabbiosa Severed dei Mudvayne si apre uno squarcio in mezzo alle chitarre: ‘I can't be the hero anymore…’ Tuttavia non posso essere l'eroe’ sussurra la voce mesta in una melodia che trasale. Le aspettative di molti nostri simili sono pretenziose. Non cadiamo nel vuoto. Siamo solo uomini, persone. Siamo eroi proprio perché normali. Ma non ditelo a nessuno o dovremo tutti, prima o poi, portare la maschera sul volto.