anno 1
numero 3
novembre 2004

Fahrenheit 9/11: "Il grido" di Michael Moore

[matteo lenzi]

Alla fine dei conti si è rivelato la più grossa spina nel fianco di George “W”. Ma non è un terrorista, né un magnate dell'informazione. Solo un tranquillo, caparbio "rivoluzionario".

"Le guerre sono fatte per non finire mai". L'orrore è fatto per non finire mai. Michael Moore ne è ben consapevole, e vuole gridarlo, farlo sapere a tutti. Non è un politico, perlomeno non nel senso tecnico del termine; è solo un

"animale politico", ovvero ciò che dovremmo essere tutti e che, non sempre in buona fede, ci scordiamo spesso di essere. È anche un regista, un "uomo d'arte", una bella faccia tosta, di quelle che odi o ami. In qualche tratto ricorda Peter Jackson (Il Signore degli Anelli), che ha raggiunto la fama per un'opera apparentemente molto diversa da quelle di Moore. Eppure, a ben guardare, può sovvenire una strana idea: che in realtà entrambi vedano lo stesso mondo (il nostro) nello stesso modo, tanto che l'uno ha pensato bene di crearsene uno tutto suo; l'altro, per arrivare allo stesso risultato, ha preferito usare una bella lente d'ingrandimento da 16 mm e cercare di capire dov'è il guasto. Così facendo ha messo il dito su un certo numero di piaghe che affliggono l'America (ma è la contingenza che lo vuole americano, nessuno è esentato dalle responsabilità). Due anni fa toccò alla "disinvolta" commercializzazione delle armi negli U.S.A. e alla distorta percezione della violenza che affligge la gioventù americana (il bel documentario Bowling a Colombine, vincitore del premio Oscar). Quest'anno il protagonista della tragedia è stato il più famoso "W" del mondo; lo scenario la desolazione del "Ground Zero"; il tema l'oscura ombra della cupidigia umana, e gli orrori che spesso porta con se'.
Ma non è facile descrivere l'orrore. E allora un'inevitabile ellissi nero pece è l'unico incipit possibile, l'unica figura retorica capace di rappresentare il grado zero della civiltà umana, l'unica capace di descrivere l'indescrivibile, mentre due deflagrazioni squassanti cercano perlomeno di darci le coordinate di un evento che mille giorni non sono riusciti a rendere più sopportabile, più comprensibile. E mentre un'altra umanità (!) seppellisce tutto sotto un po' di fondotinta, che non traspaia il lucido riflesso della malafede; mentre ci sorride dalle sue protesi dentali e dal suo ciuffo ben modellato, da uno sputo prodotto per l'occasione; questa qui guarda attonita ciò che è persino inutile mostrare, il fantasma di un Moloch che ormai è solo nelle ultime evanescenti impressioni della nostra retina.
La tentazione è forte; ancora di più, è umana: cancellare tutto, rimuovere, tornare alle partite di calcio alla TV, alle gite in campagna, alla vita "normale". E se a farlo è persino chi ci dovrebbe ricordare che la campana suona sempre e comunque per noi; se questa persona si mette a dirci che niente sarà più come prima ma poi ci invita a fare shopping e ci mostra quanto sia corroborante per lo spirito un bel drive alla buca 12… allora forse il Bradbury evocato da Moore non aveva visto l'inferno. Aveva semplicemente sbirciato un paio di generazioni avanti. Laddove qualcuno si può permettere di cancellare la memoria, di vedere nemici in un settantenne che "maledice le donne, il tempo ed il governo", o in un gruppo di anacronistici hippies. Salvo poi permettere la fuga in aereo di 24 (non uno!) Bin Laden, in un'America paralizzata dal terrore e dalla CIA. E anche Orwell, del resto, deve aver scrutato dallo stesso Aleph, e visto nomi cambiare proprietario, nomi sparire, nomi di nemici passare nell'elenco degli amici e viceversa, senz'altra motivazione che il calcolo freddo del potere arroccato in difesa di se stesso.
Anche se da più parti si è sostenuto che sono cose risapute, e che forse non c'è bisogno di mostrare l'ovvio, credo non sia del tutto inutile la frequentazione di Moore. Ho idea che non pochi si possano giovare di ciò che si mostra e si espone in questo "documentario", visti i risultati delle recenti elezioni presidenziali. Non dimentichiamoci che è molto pericoloso cominciare a parlare di "notizie già sentite", "predicozzi ripetitivi"; per poi passare ad espressioni del tipo "informazioni superflue", e ancora "verità poco costruttive", per arrivare agli "inutili e dannosi disfattismi", anticamera delle Verità di Stato, uniche e sole degne di essere divulgate: o la Storia davvero non deve insegnarci proprio nulla? E se anche fossero verità lapalissiane? Non c'è bisogno di Neruda per sapere che esiste l'amore, eppure lo leggiamo: non per informarci, ma per formarci (una coscienza, una visione, una comunione con altre coscienze). Viviamo spesso di parole e gesti superflui, ma a volte è proprio del superfluo che non si può fare a meno, perché a ben guardare è in molti casi necessario. "Tutta l'arte è completamente inutile", scriveva Wilde, con tutto l'amore che possiamo immaginare per quell'"inutile".
E così Moore non registra semplicemente fatti (noti o meno). Li ordina, li associa, li vive, li monta secondo la logica del cuore e del cervello. E se ci allontaniamo un attimo dal mosaico, non vediamo più un documentario, ma un grido di dolore (e, forse, un'opera d'arte).