Il vagabondo delle stelle
Titolo originale
The Star Rover
Autore
Jack London
Anno
1915
Editore
Adelphi (2005)

Uno dei libri forse meno conosciuti di Jack London, uscito per la prima volta nel 1915 e riproposto dalla casa editrice Adelphi nell’edizione del 2005. Diverso da precedenti romanzi come Zanna Bianca o Il lupo dei mari, Il vagabondo delle stelle è destinato a restare una perla nella produzione letteraria dello scrittore americano, un libro sospeso tra la realtà, il sogno e la fede.
Darrell Standing è un detenuto del carcere di San Quentin, costretto nella sua cella d’isolamento per cinque anni e condannato a morte per impiccagione. Sottoposto alla tortura della camicia di forza, con l’intento di fargli confessare il nascondiglio di una dinamite inesistente, il protagonista si lascia andare alla “piccola morte”, un espediente che gli permetterà di “vagabondare tra le stelle” del tempo e dello spazio. E come tutti i grandi romanzi che parlano del viaggio come metafora di un percorso di crescita e consapevolezza, Il vagabondo delle stelle può, a tutti gli effetti, essere considerato un viaggio, un’esplorazione dell’uomo dal suo primo apparire sulla Terra fino al presente che non si arresta mai. “Dice Pascal <<Nel considerare il cammino dell’evoluzione umana, la mente filosofica dovrebbe guardare all’umanità come ad un singolo uomo e non come ad una indistinta massa di individui>>”: Darrell Standing è appunto quell’uomo, è l’essere che muore innumerevoli volte e che sopravvive, è l’umanità intesa come sostanza, essenza imperitura che alberga corpi materiali pur non essendo materia, perché l’immortalità appartiene solo all’anima. Di passaggio in una delle sue innumerevoli vite, Darrell Standing racconta ed è una storia che riguarda tutti, uomini del passato e del futuro, donne e bambini, naufraghi e duellanti di epoche remote, cacciatori e abitatori di caverne. È la vita che si ripete e che si genera, serbando il vero senso dell’immortalità che all’uomo del presente sempre sfugge: quella della specie. E la vita non è altro che la mente, la memoria, il ricordo attraverso cui la sostanza si preserva: “La mente…solo la mente sopravvive. La materia fluisce, si solidifica, fluisce di nuovo, le forme che essa assume sono sempre nuove. Poi si disintegrano in quel nulla eterno donde non vi è ritorno”.
Questa immortalità, questa vita che eternamente si ripete, questo “Eterno Ritorno”, hanno le sembianze di una Donna, non di una in particolare, ma di tutte coloro che hanno popolato la Terra e generato la vita: “la cosa più importante di tutta la vita, di tutte le mie vite, per me e per tutti gli uomini, fino a quando le stelle si sposteranno nel firmamento e non si arresterà il continuo mutamento dei cieli, è stata, è e sarà la donna, più importante di ogni nostra fatica o impresa, più grande d’ogni parto della fantasia e dell’invenzione, più grande di qualsiasi battaglia, di qualsiasi osservazione delle stelle, più grande di qualsiasi mistero…la cosa più grande di tutte è stata la donna”. London ci regala in questo passaggio uno dei più bei messaggi d’amore che siano stati scritti dalla letteratura moderna, un omaggio alla figura femminile, portatrice di vita, figlia e madre allo stesso tempo.
Il romanzo di London si pone su diversi piani: quello della fede, della filosofia, della condizione carceraria, della prigione mentale ed infine della morte. Ogni viaggio che il protagonista intraprende “tra le stelle” lo riporta inevitabilmente alla realtà della sua cella d’isolamento, alla desolazione di un corpo che è esso stesso prigione. E se la morte davvero non esiste (o se si resta aggrappati a questa speranza per sconfiggere la paura), allora la pena capitale perde la sua efficacia, diventa vana, simbolo vuoto di una barbarie mascherata da civiltà. E proprio con queste parole Darrell Standing si accomiata dal suo pubblico: “<<Non uccidere>>. Stupidaggini. Domani mattina mi uccideranno. <<Non uccidere>>. Stupidaggini. Proprio ora nei cantieri navali di tutte le nazioni civili stanno costruendo le chiglie corazzate e supercorazzate. Cari amici, io che sto per morire vi saluto con questa parola: stupidaggini!”.
[giulia rastelli]

Jack London, nome d’arte di John Griffith Chaney, nasce a San Francisco il 12 gennaio 1876, figlio illegittimo di un astrologo, William Henry Chaney e di Flora Wellman. Il padre si disinteressò del figlio, che venne cresciuto dalla madre, da una nutrice nera e da un padre adottivo di nome John London. Dopo aver finito la scuola elementare nel 1889, frequentando compagnie poco raccomandabili, tra ladri e contrabbandieri, iniziò a passare da un lavoro all'altro. Dopo numerose esperienze lavorative, tornò a Oakland per frequentare la Oakland High School, dove partecipò alla redazione del giornale scolastico, The Aegis. Nel 1896 riuscì ad entrare all'Università della California, che lasciò nel 1897 a causa di problemi finanziari. Nel luglio di quell'anno partì per unirsi alla corsa all'oro del Klondike: è in quella regione che scriverà i suoi primi racconti di successo. Tutta la sua vita è caratterizzata da esperienze lavorative diverse: dallo strillone di giornali, al pescatore clandestino di ostriche, dal lavandaio, al cacciatore di foche, dal corrispondente di guerra russo-giapponese, dall'agente di assicurazioni, al coltivatore e, appunto, al cercatore d'oro prima di diventare uno scrittore di successo. Come scrittore riuscì ben presto a diventare uno tra i più prolifici, famosi e meglio retribuiti del suo tempo. In tutta la sua carriera letteraria scrisse oltre 50 volumi. Nel 1910 comprò il Beauty Ranch, in California, dove morì nel 1916. Sulla sua morte non vi sono notizie certe. La versione più attendibile sembra essere quella del suicidio, dovuto a perenni insoddisfazioni e continui problemi di alcool.