Maggie Cassidy
Titolo originale
Maggie Cassidy
Autore
Jack Kerouac
Anno
1959
Editore
Mondadori
"…quelle stelle che nel Nord, nelle notti chiare, sono lacrime
ghiacciate tra miliardi di altre, la via lattea di gennaio come
caramelle d'argento, veli di gelo nell'immobilità, che lampeggiano,
pulsando al ritmo lento del tempo e del sangue dell'universo".


Intitolato originariamente Springtime Mary e pubblicato come Maggie Cassidy, il libro prende vita agli inizi del 1953 e viene pubblicato solo nel 1959. Scritto nell’arco di due mesi, questo romanzo è parte integrante della cosiddetta Leggenda di Duluoz, il progetto letterario che nella visione di Kerouac doveva comprendere tutta la sua vita. Modello incontrastato è Proust: come ne La ricerca del tempo perduto, Kerouac vuole dividere in più libri il racconto autobiografico della propria esistenza, perché come egli stesso ha spiegato: “devo dividere la Leggenda di Duluoz in parti cronologiche […] non posso riversare tutto quanto in un unico stampo, se lo facessi otterrei una grossa palla rotonda invece di una serie di figure”. Ed è strano pensare come queste figure siano state composte in tempi cronologicamente differenti, come se Kerouac a tratti affondasse le unghie nella carne della propria infanzia o come se non riuscisse ad allontanarsene del tutto. Maggie Cassidy è in ordine il terzo romanzo della sua autobiografia, ma precede la composizione di Visioni di Gerard, il libro in cui sono raccontati i primissimi ricordi della sua vita legati alla figura del fratello. Entrambi i romanzi sono ambientati a Lowell ma in tempi diversi e lontani. In Maggie Cassidy Kerouac affonda nel suo passato con tutta la tristezza e la disillusione di un uomo adulto che sente di aver perduto l'innocenza che lo legava all'infanzia della propria vita. Come già in Dottor Sax, c'è un ritorno a quel mondo intatto della Lowell natale, agli amici, alla famiglia, alle gare di atletica, alla neve sulle strade, alla felice ed inconsapevole adolescenza. E' un romanzo visionario, prettamente onirico, forse molto più vicino a Visioni di Gerard che non a Maggie Cassidy. Dei tre romanzi che fanno riferimento agli anni della sua innocente spensieratezza (“[…] non sarai mai felice come sei ora nella tua ovattata innocente immortale notte divoratrice di libri dell’infanzia”), Maggie Cassidy è la rottura, la crepa che finisce per frantumare la diga delle piccole certezze e delle innumerevoli aspettative. Tutti i suoi ricordi sembrano riunirsi qui in una sorta di triste commiato, un congedo dal sapore dolciastro che lo coglie impreparato come una festa a sorpresa, quella appunto descritta verso la fine del romanzo. I luoghi, le persone, il rumore del fiume, il cielo stellato: ogni cosa torna vivida eppure sfocata, ingigantita dalla forza del ricordo che tenta di aggrapparsi al suo passato. Scritto nella tranquillità della sua camera a Richmond Hill sotto l’effetto della benzedrina (come molti altri dei suoi romanzi) Kerouac ritorna agli ultimi anni di liceo, quando era ancora un ragazzo di diciassette anni alle prese con l'amore e le gelosie di due ragazze tra loro molto diverse: la dolce Maggie e la spregiudicata Pauline. Ed è sullo sfondo di queste passioni giovanili che Kerouac penetra all'interno di un mondo ormai prossimo al crollo. Siamo infatti nel 1939, un anno prima della sua partenza per New York dove comincerà gli studi universitari alla Columbia University, studi che abbandonerà presto per seguire un'altra e ben nota strada. L'intero romanzo è attraversato da quelle tipiche sensazioni di perdita e malinconia che accompagnano la fine di ogni cosa, ma allo stesso tempo anche di forte aspettativa per un futuro ancora acerbo pronto ad esplodere e maturare. Kerouac si abbandona spesso a flussi di pensiero confusi che trovano un ordine solo nell'intrecciata trama dei suoi ricordi. Un libro che è vera e propria poesia, ricco di immagini suggestive dietro le quali si celano i grandi temi esistenziali sempre presenti nell'intera produzione letteraria di Kerouac: la vita, la morte, l'amore, la strada. Come in tutti i suoi romanzi, la narrazione dei fatti è sempre un punto di partenza per una riflessione più profonda, a tratti mistica, sul significato della vita e del dolore.
[giulia rastelli]