Un’artista completa, a tutto tondo, come poche ne abbiamo qui in Italia. Scrive e suona il pianoforte fin da bambina, a sei anni ha scoperto la danza, a sedici la recitazione. Di nome fa Melania, di cognome Fiore. L’abbiamo incontrata al debutto dello spettacolo “Intervista ai parenti delle vittime” in scena al Teatro dei Conciatori di Roma (21-26 marzo 2017).

Iniziamo dall’inizio: Laureata con Lode con una tesi su Eleonora Duse. Una sorta di dichiarazione programmatica per la tua carriera?

Melania Fiore

Melania Fiore

Una dichiarazione d’amore, direi. Quando ho iniziato a fare la scuola di teatro di Mario Scaccia a 20 anni, mentre andavo all’Università, il Maestro mi ha fatto appassionare alla vita e all’arte della grande Eleonora Duse, di cui aveva respirato l’aria grazie ad anni e anni di compagnia con Memo Benassi, attore eccezionale arrivato alla fama proprio accanto alla Duse. Scaccia, interprete straordinario di D’Annunzio, mi ha guidato nello studio di molti cavalli di battaglia della Duse frutto del sodalizio artistico e sentimentale col poeta soldato: da “La Francesca Da Rimini” a “La città morta”, da “La Gioconda” a “La Figlia di Iorio”.
Volevo fare l’attrice da grande, avevo fame di sapere. Cosa aveva di così speciale quest’artista, che riusciva, piccola com’era, con una voce flebile e senza trucco, ad incantare centinaia di platee? Tanta era la mia curiosità, anche intellettuale, di scoprire il suo mistero che decisi di fare la tesi di laurea su di lei. D’accordo con il mio relatore, l’eccellente prof. Arturo Mazzarella, mi concentrai su un aspetto particolarmente importante: la sua scrittura, le centinaia di lettere che scrisse ad Arrigo Boito, uno degli amori più importanti della sua vita, da cui si evinceva l’originalità, l’estro, il talento insuperabile di donna e attrice.
Iniziai uno studio matto, quasi bulimico, leggendomi ogni libro possibile che riuscissi a trovare su di lei e analizzando le pieghe e le piaghe di quella sua scrittura, futuristicamente nuova, intrisa di passione, forza, al contempo fragilità; andai anche alla Fondazione Cini di Venezia per tenere nelle mani quelle sue lettere. Mi laureai con lode e plauso dei docenti e del Magnifico Rettore, ma non riuscii a svelare il mistero di Eleonora Duse. Riuscii solo a capire che avrei fatto l’attrice, comunque, per tutta la vita.

Il 21 marzo al Teatro dei Conciatori di Roma, porterai in scena ”Intervista ai parenti delle vittime” di Giuseppe Manfridi. Un monologo tutto per te. Ci racconti un po’ lo spettacolo che andremo a vedere?

Questo potente, densissimo testo di Manfridi, un assolo a tratti intenso e commovente, a tratti cinico e impietoso, racconta di una donna (che abbiamo chiamato Laura, anche se nel testo originale è senza nome), che si prepara ad andare ad un primo appuntamento a cena, ricevuto da un suo corteggiatore. Mentre Laura si prepara, la televisione trasmette l’intervista da lei rilasciata in una trasmissione in cui parla di sua sorella più piccola morta per overdose all’interno di una chiesa. Sia prima che dopo la messa in onda della trasmissione la donna sente erompere dentro di sé la voglia di dire ciò che avrebbe voluto dire e che non è riuscita a dire, per convenzione, per paura del ridicolo, perché da sempre è abituata a reprimere ogni frustrazione e si abbandona in un furente corpo a corpo con la sorellina scomparsa, vomitando tutto il suo vissuto, tutto il dolore e la frustrazione repressi all’interno di un disastroso menàge familiare condizionato dalla dittatura della tossicodipendenza della sorella, da come si evince, più forte di quanto lei stessa non credesse. Ciò che emerge da questo forsennato soliloquio dal ritmo sempre più incalzante cadenzato dalle splendide musiche del Maestro Di Pofi (che mi hanno guidato e sostenuto nell’interpretazione), è un rapporto d’amore e odio fortissimo, un legame imprescindibile, e che ha momenti teneri e anche buffi, momenti terribili ricchi di livore, vuoti e pieni, un legame volente e nolente indissolubile, che va oltre la morte.

Hai già lavorato con l’attore/regista/drammaturgo Giuseppe Manfridi in ‘La Castellana (un noir)’. Ci racconti il rapporto con lui?

castellana noirUn rapporto straordinario. C’è un’amicizia molto empatica, e un’intesa artistica davvero notevole. Non è una sviolinata: il suo modo di scrivere profondo e complesso, di approcciarsi al teatro, di esperirlo a tutto tondo, di percepirlo come un luogo sacro da vivere fino in fondo esplorandone ogni anfratto, ogni possibilità, mi ha da subito fatto capire che avremmo lavorato insieme a lungo. A volte, glielo dico sempre, mi ricorda il mio grande Maestro Scaccia, perché riconosco in lui lo stesso rigore, la stessa precisione, la stessa onestà intellettuale, la stessa instancabile vigorosità. La Castellana è stata un’esperienza eccezionale.

Tu sei anche regista ed autrice di diversi spettacoli. Quale aspetto del tuo lavoro ti diverte di più? Quale ti da più soddisfazione?

Tutto, qualsiasi cosa. Per me essere un’artista è esserlo a tutto tondo. Scrivo e suono il pianoforte fin da bambina, a sei anni ho scoperto la danza e a sedici anni ho iniziato a recitare. Tutto serve, tutto è funzionale ad accrescere la sensibilità, l’immaginazione e ad essere da stimolo per il processo creativo dell’attore. Scrivere e spesso dirigere testi che porto in scena con la mia compagnia (Libere Onde Teatro) mi aiutato ad assumere una consapevolezza maggiore non solo come attrice, ma anche di tutto ciò che ruota intorno al teatro che è però assolutamente fondamentale. Essendo spesso responsabile di uno spettacolo ho acquisito una diversa consapevolezza, una visione d’insieme che parte dallo studio accurato sulla parola e sul gesto e termina con il mondo con cui poi, effettivamente, ci confrontiamo.

Melania Fiore e la musica. Tu ha studiato canto, danza e suoni il piano. Da dove nasce questa passione e come la sfrutti nel tuo lavoro? Mai pensato o ti hanno mai offerto un musical, oggi tanto di moda ed in cerca di talenti?

italia un sognoSi! Nel 2010, per la Roma Spettacoli, scrissi insieme all’autore Mario Scaletta un musical, seguito ideale de “Il Marchese del Grillo”, che chiamammo “Il testamento del Marchese del Grillo”, con le musiche originali del Maestro Federico Capranica, con Enzo Garinei, Carlo Croccolo, venti attori e ballerini e la regia di Gigi Palla.
Lo spettacolo andò in tournée in Italia per poi approdare per un mese al Teatro Ghione. Oltre a scrivere il testo recitai nel ruolo di Severina. Fu un bel successo.
Nel 2016 poi sono stata scelta da John Pascoe per il suo spettacolo Italia, un sogno, un progetto innovativo che mescola recitazione, canto lirico e danza. Riprenderò la tournée nel giugno 2017.

Per chiudere: un sogno nel cassetto?

Lavorare di nuovo con Sorrentino! E fare tanto cinema. Chissà. I sogni non hanno confini.