La locandina

È uscito in questi giorni  La rivincita delle sfigate” un divertente film americano sui college in chiave femminile. In questa sede non scriveremo delle specifiche qualità cinematografiche dell’opera, ma delle sue interessanti applicazioni sociologiche e psicologiche in un ideale confronto tra la realtà americana e quella italiana.

Partiamo dal titolo originale “BookSmart”. Semplificando molto si potrebbe tradurre “secchione”. Quindi  “La rivincita delle secchione” sarebbe stato un titolo fedele nello spirito all’originale. Invece si è optato per “sfigate”, per due considerazioni concatenate. Da noi il secchione è considerato uno sfigato e soprattutto si considera “sfigate” più attrattivo (si gode delle disgrazie altrui, “schadenfreude” dicono i tedeschi), di secchione. Ecchisenefrega se non è pertinente alle intenzioni degli autori.

Secondo punto: la cosa che salta all’occhio italiano in questo film in cui si descrive l’ultima notte prima del diploma di due ragazze, una lesbica e l’altra grassottella, è la mancanza quasi totale della presenza dei genitori e in genere degli adulti dalla vita dei ragazzi.

Siamo abituati noi al continuo, assillante monitoraggio di mammine e paparini pronti sempre intervenire, a valutare, a preoccuparsi, a intercedere, a consolare e, peggio del peggio, a difendere i propri figli, rivelando questo non solo una cattiva attitudine genitoriale ma soprattutto l’assoluta mancanza di fiducia nella propria prole. Nel film gli studenti vivono la loro formazione fatta di successi, patimenti, emozioni, depressioni, insicurezze, lotte, amori, amicizie, insuccessi, fragilità buttandosi nella mischia cadendo e rialzandosi senza che ci sia mai una mammina che dica “poverino” o un paparino che vada a chiedere conto alla famiglia del ragazzo che ha chiamato sua figlia “cicciona”.

La locandina

E qui si apre una parentesi mettendo a confronto il film italiano, già dal titolo ricattatorio “Le Dolcissime”  in cui si narrano le vicende di tre ragazze extra large all’interno di un liceo. Un film intriso di vuoto pietismo, di psicologismo da supermercato e aldilà di un politicamente corretto smaccato, privo di speranza. La colpa è sempre di qualcun altro, del confronto coi genitori, della società, degli altri cattivoni che le prendono in giro etc etc. Mai un’ombra di (auto) ironia, mai un’assunzione di responsabilità.

Cosa che avviene in “Book Smart”, dove la protagonista sovrappeso è perfettamente consapevole, scherza con se stessa, mangia perché le piace il carboidrato, ma è intelligente, studia, ha ambizioni, si mette in gioco, ama, piange soffre e ride perché questa è la vita e questa l’adolescenza ma soprattutto non ha (non vuole) genitori morbosi con cui confrontarsi. È la sua vita, è lei che sceglie, è lei responsabile del proprio destino.

Ultimo aspetto di questo confronto impietoso, sono i ragazzi stessi. Chi ha qualità intellettuale fa domanda per essere ammesso nelle università migliori, Harward o Yale, pensa al suo futuro, solo al futuro libero da vincoli e  ricatti. Il nostro paese batte tutti i record per i figli che continuano a vivere con i genitori fino a tarda età. E le motivazioni sono sempre le stesse, verosimili nella forma e speculative nella sostanza: il carovita, mamma quanto soffre, il fidanzato, non ho i soldi per pagare l’affitto, non conosco nessuno. Il futuro viene bruciato sull’altare di una visione angusta, poco coraggiosa e senza prospettiva.

E ci si chiede poi perché siamo provincia dell’impero.